L’anima del Drago: la Cina e l’università

Alcuni mesi fa mi trovavo ad Hong Kong, per partecipare ad un convegno di educatori universitari. Un’ occasione interessante per ritrovarsi con altri colleghi da ogni parte del mondo e confrontarsi su temi vari ed aggiornare la propria conoscenza. Vivendo a Macao, per me il viaggio era stato abbastanza breve e quindi era un’occasione interessante da non farsi sfuggire. Dopo aver fatto la mia presentazione davanti ad uno scelto pubblico, ho cominciato a saltellare da una stanza all’altra per seguire le altre presentazioni. Una di queste mi ha particolarmente interessato: era l’opportunità’ di dialogare con un professore proveniente dalla Cina continentale e che era stato keynote speaker nella mattina precedente, l’oratore principale, per dirla in termini nostrani. Con questo professore si parlava dello stato di progresso delle Università cinesi e lui, naturalmente, magnificava gli avanzamenti avvenuti negli ultimi decenni, dimostrando come queste istituzioni si stavano oramai adeguando agli standard occidentali. Io seguivo con vivo interesse queste osservazioni e ad un certo punto non ho potuto frenare l’impulso di intervenire; ho preso la parola e ho chiesto: le istituzioni occidentali sono eredi della tradizione greco-romana e giudaico-cristiana.
Tutto quello che trovate lì viene da questi due grandi filoni culturali. Questa è l’anima delle nostre istituzioni, anche nel senso crociano del “non possiamo non dirci “cristiani””. Cio’ che si vuol dire è che, anche chi non si riconoscesse nella fede cristiana o giudaica non puo’ non disconoscere la ineludibile eredità che queste tradizioni, insieme al pensiero greco e romano, hanno lasciato all’occidente. Ma quale è l’anima delle università cinesi? Gia’, in quanto la Cina non e’ certamente erede della civiltà greco-romana e di quella giudaico-cristiana. Anzi, per quest’ultima sappiamo bene i conflitti e problemi esistenti nell’ambito del rapporto tra stato cinese ed istituzioni religiose, un problema complesso, che andrebbe visto con piu’ sfumature di grigio che con un semplice bianco e nero, buoni e cattivi. Ma la domanda resta: come prendere la sapienza occidentale senza l’anima? Il professore mi aveva detto, un poco imbarazzato, che loro stavano cercando la loro identità e questo mi dimostrò che la mia domanda non era affatto peregrina. Thomas E. Woods Jr. in un suo interessante volume chiamato “How The Catholic Church Built Western Civilization” (Come la Chiesa Cattolica ha stabilito la Civilizzazione dell’Occidente – Regnery Publishing, 2005) dimostra il ruolo fondamentale che ha avuto la Chiesa nel progresso della nostra civiltà. Quindi si puo’ ben dire che le nostre istituzioni accademiche (le Università sono anche esse una produzione di questo progresso) sono animate da queste tradizioni. Ma si potrebbe controbattere che anche la civiltà cinese e’ una grande civiltà, con un anima confuciana/taoista/buddista.
Certamente, è una grande civiltà, nessun dubbio su questo, una civilizzazione millenaria e straordinariamente importante; ma sappiamo bene come, per motivi storici, i progressi dei recenti anni sono stati fatti non grazie a queste anime si cui sopra, ma spesso in opposizione ad esse. Chiunque visiti le grandi citta’ cinesi, Shanghai ad esempio, si rende conto come lo sviluppo evidente e’ nella direzioni di occidentalizzare la vita dei cittadini, nel senso materialistico: tutti i grandi brands occidentali hanno negozi disseminati ovunque, giovani vestono come i giovani in Londra, New York o Roma e hanno tutti i gadget tecnologici che sono alla moda. La musica occidentale, classica o pop, la fa da padrona. Anche la musica in lingua cinese è basata sui modelli occidentali. In effetti i giovani sanno poco o nulla della loro musica tradizionale cinese e non sembrano neanche molto interessati a saperne di piu’. Talvolta, quando mi sono trovato a parlare con ragazzi cinesi che studiano musica in Cina, magari suonando con una tecnica estremamente agguerrita, ho constatato come ci fosse un problema fondamentale: gli mancavano tutti i parametri culturali per capire quello che stavano suonando così bene, tecnicamente. E non era colpa loro, non potevano averli. E’ come se io imparassi benissimo a cantare un brano dell’Opera Cinese; posso imitare alla perfezione la pronuncia, ma mi sfuggirà completamente lo spirito. E questo perche’ non sono immerso nell’anima della cultura cinese, che risponde ai filoni culturali di cui facevo menzione in precedenza.
Dopo il 1949, Confucianesimo, Taoismo e Buddismo sono state tradizioni che non rientravano piu’ nel piano culturale della nuova classe dirigente, almeno ufficialmente. Oggi esse si fanno largo nuovamente, ma in un contesto culturale così mutato e mutevole quale sara’ la loro incidenza? Arthur Rosenfeld, sull’edizione americana del giornale Huffington Post del 9 novembre 2009 così affermava: “Privati della loro insigne eredità culturale grazie alla brutalità della rivoluzione culturale, i Cinesi sembrano essere impegnati in una corsa sfrenata verso quello che loro pensano di volere e avere bisogno – l’eccesso materiale dell’occidente – e stanno avanzando in avanti senza controllo sociale o le lezioni della storia passata” (mia traduzione). Interrogato da AsiaNews sulle sfide piu’ impellenti per la sua diocesi, Monsignor Joseph Gan Junqiu, Arcivescovo di Guanzhou (Cina meridionale), il 4 dicembre 2007 così affermava: “La secolarizzazione ed il materialismo sono le sfide piu’ grandi: Guanzhou e’ la capitale della provincia piu’ ricca della Cina, il Guangdong. La corsa al denaro a tutti i costi è visibile nella vita e nei comportamenti di tutti i giorni. Ma alla fine, soprattutto i giovani, sentono il vuoto della società e cercano valori positivi. Gli stessi quadri del Partito riconoscono che c’e’ una carenza di valori e di spiritualita’”.
Quindi la mia domanda al gentile collega cinese rimane intatta: quale è l’anima delle Università cinesi? Quale è l’anima della nuova Cina? Essendo il governo cinese un governo comunista, il loro orizzonte culturale e’ quello del materialismo. Ma, come detto in precedenza, le cose non possono essere così semplici. La linea retta, qui non e’ la via migliore. Il dragone predilige le linee oblique. Quindi tutta la situazione va vista con prudenza. E la risposta alla mia domanda non è certo semplice. Forse non solo il mio collega cinese avrebbe avuto problemi nella risposta, ma anche molti altri che s’interrogano oggi su quale sia l’anima di questa cultura proveniente da un tormentassimo ventesimo secolo. E questa domanda è probabilmente quella con cui ci si dovra’ confrontare continuamente nei decenni a venire.
* Aurelio Porfiri è professore all’Università Saint Joseph di Macao