Ad Iznik, Haghia Sophia è di nuovo moschea. Ma la Turchia apre alle minoranze religiose.

Nel 787 dopo Cristo, si tenne fra le sue mura il Concilio di Nicea. Fu l’ultima volta che la comunità cristiana venne ospitata nella sua interezza, prima del fatidico scisma tra Chiesa Orientale e Occidentale nel 1024. Ma oggi, nella Chiesa di Haghia Sophia di Izmit (l’antica Nicea), è autorizzato il culto islamico. Il canto del muezzin ha risuonato nel minareto. Una scelta fatta dalla fondazione che ha in gestione la Moschea, la Orham Ghazi Foundation, che ha riaperto l’edificio al culto islamico in occasione della festa del sacrificio, Kurbanbajrama. E ha destato non poche polemiche e interrogativi.
Fu Orham Ghazi, capo degli Ottomani, a trasformare la chiesa di Haghia Sophia in Izmit in moschea, nel 1331. Un sintomo dell’islamizzazione di tutto il territorio turco, che ha visto le più belle tra le chiese cristiane essere trasformate in luoghi di culto islamici. Poi, l’arrivo di Ataturk e la laicizzazione del territorio turco fecero sì che nel 1920 Haghia Sofia fosse trasformata in Museo. Restaurata pochi anni fa, aveva mantenuto lo status di Museo, cosa tra l’altro negata dal presidente della Fondazione Orham Ghazi. Che invece ha deciso di riaprire Haghia Sophia al culto islamico.
Una decisione che in qualche modo stride con quanto stava succedendo in Turchia. A fine agosto, il premier turco Tayip Erdogan, con un improvviso colpo di scena, aveva deciso la restituzione di migliaia di proprietà alle Fondazioni religiose non musulmane, confiscate dal governo dopo il 1936. Il decreto prevedeva la restituzione di circa mille immobili ai cristiani greco-ortodossi; cento agli armeni; diversi ai cristiani caldei cattolici e agli ebrei. Per i cattolici latini non si prevede nulla in quanto non rientrano nei trattati di Losanna. Ma secondo osservatori il passo del decreto faceva ben sperare. Diverse le reazioni, tutte positive, da parte dei rappresentanti delle minoranze.
Quindi, il premier turco si è dato da fare, muovendo le sue pedine. Da una parte, un viaggio a inizio settembre nei paesi mediorientali, con il quale ha rafforzato la sua figura in patria. Dall’altro, la riforma costituzionale che sta portando avanti. I litigi di Erdogan con Israele hanno delineato una nuova posizione della Turchia nello scacchiere internazionale, dove i rapporti privilegiati più che con Israele sono con Paesi dalle comuni radici, secondo un paradigma definito neo-ottomano. Una politica mirata a costruire un sistema regionale di rapporti al cui centro si trova la Turchia, legata ai Paesi che vanno dalla Bosnia nei Balcani, fino allo Yemen e all’Africa, uniti da un comune denominatore che è la cultura musulmana; promuovendo pure la coesistenza dell’islam con l’occidente, e non l’occidentalizzazione dell’islam.
Una politica che cozza con la formazione dei nuovi stati seguiti alla primavera araba. Perché Egitto, Libia, Tunisia sono in mano a partiti islamici. In Egitto, per esempio, servirà un permesso speciale del Capo dello Stato per edificare un luogo di culto non islamico. In Libia, tutte le leggi contrarie alla legge islamica sono decadute. È un nuovo avanzare dell’Islam, moderato perché amico dei Paesi occidentali che ne hanno favorito l’ascesa, che si avvia a contrastare il ruolo della Turchia nella regione.
Da qui, le mosse di Erdogan, che cerca alleanze a più ampio raggio e sa che per farlo deve mantenere il collante della religione. E da qui, viene anche la mossa della Orhan Ghazi Foundation. Adnan Ertem, presidente della fondazione, è citato anche nei file di Wikileaks, in un cable tutto dedicato alle preoccupazione americane per la libertà religiosa nella Turchia. Il file parla di un suo intervento a un convegno sulla libertà religiosa (era il tempo di difficili relazioni tra Erdogan e le minoranze religiose), durante il quale– notavano i funzionari americani – la sua posizione diventava sempre più difensiva man mano che andava avanti la giornata.
La scelta di riaprire al culto islamico Haghia Sophia ha aperto un vivace dibattito in Turchia. Le autorità – è qui il cuore del dibattito – hanno il potere di cambiare destinazione religiosa agli edifici come l’antica chiesa del concilio di Nicea? Un dibattito che rischia di aprire una ulteriore ferita interna nella Turchia che vuole essere accettata dall’Unione Europea.