Adolescenti e letteratura: “Cose che nessuno sa”

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“Zia, i ragazzi non sono tutti così, non hanno queste esperienze, non fanno questi discorsi… E allora, perché a scuola ci hanno imposto di leggere questo romanzo che non c’entra niente con me e con i ragazzi che conosco? E poi, è scritto pure male…”. Le domande e le riflessioni sperdute di un nipote quattordicenne non lasciano scampo. Bisogno cercare una risposta e bisogna tentare una controproposta. A scuola – terza media per l’esattezza – l’insegnante di italiano fa leggere ai ragazzi “Io e te” , ultima fatica letteraria di Niccolò Ammaniti, che racconta una folle storia di un ragazzino solitario fino all’eccesso, che fa finta di partire per una settimana bianca, invece si nasconde in cantina, dove poi capita anche la sorellastra, drogata in crisi d’astinenza. Dieci anni dopo il protagonista del romanzo la ritrova, morta per overdose, in un paese del Friuli. Scrittura minima, linguaggio sboccato, scene forti. Il senso? La vita è tremenda, ci si può far compagnia, ma poi non cambia niente, la morte è dietro l’angola, insieme al nulla. Questo lo desumiamo noi, perché il nipote, e molti suoi compagni, non ci hanno proprio pensato. I libri che raccontano l’adolescenza sono tutti così desolanti? Affollati da ragazzini scontrosi, sboccati, disperati, alle prese con droga, sesso, solitudine, mancanza di prospettive? Sono preferibili persino i libri della saga di Twilight: almeno si descrivono forti sentimenti e amore eterni, sia pure affogati in un mare di banalità vampiresca. E certo, almeno nel panorama italiano contemporaneo, c’è ben poco da scegliere. Ma ci sono due libri che vogliamo segnalare in senso positivo, uno da considerarsi un piccolo classico, l’altro appena uscito nelle librerie.

Giani Stuparich, scrittore triestino di grande tratto poetico, oggi colpevolmente dimenticato, scrisse una sorta di racconto lungo, o breve romanzo, intitolato “Un anno di scuola”, scritto negli anni Trenta. E’ la storia di un gruppo di allievi di un ginnasio triestino, dell’ultimo anno, che vive la propria iniziazione alla vita adulta. Il perno su cui gira l’intera vicenda, è Edda Marty, una ragazza bella, inquieta, ribelle, libera, unica ragazza del liceo, personaggio ispirato alla storia vera della prima ragazza triestina che si iscrisse all’università di Trieste nel 1910. La scrittura è poetica, introspettiva quanto basta, capace di descrivere i turbamenti adolescenziali dinanzi alle prime storia d’amore, e i contrasti con il mondo adulto, temi eterni che, nelle ovvie trasformazioni del tempo e della società, rimangono però fondamentalmente gli stessi. La forza sta appunto nella scrittura, che rivela tutto il valore di Stuparich e che andrebbe riscoperto, magari proprio a cominciare da quelle scuole medie nelle quali si preferisce ammannire Ammanniti (scusate l’ovvio gioco di parole, ma era irresistibile!).

Appena pubblicato è il secondo romanzo di Alessandro D’Avenia, “Cose che nessuno sa” (Mondadori editore). D’Avenia è un autore diventato un “caso” per il suo romanzo d’esordio, “Bianca come il latte rossa come il sangue”, che ha venduto moltissimo e si è segnalato per un modo diverso, appunto, più positivo e più profondo, di descrivere il mondo dei ragazzi. Atteso al varco per questa sua seconda prova, pare che l’abbia superata. Il suo nuovo romanzo racconta il lungo viaggio, interiore ma non solo, che la quattordicenne Margherita deve compiere per ritrovare il padre fuggito via e, insieme, la sua identità di donna in divenire. L’autore ha dichiarato di avere avuto presente il modello dell’Odissea, in particolare il destino di Telemaco, il figlio di Ulisse che va allla ricerca del padre perduto. E già il fatto di scegliere un modello tanto “alto” e fondante per la tradizione occidentale fa ben sperare non solo per questo romanzo, ma anche per quelli che D’Avenia deciderà di scrivere in futuro.

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