Fermo: hanno ammazzato Emmanuel, Emmauel è vivo
Nell’omelia dei funerali, celebrati domenica scorsa, di Emmanuel Chidi Nnamdi, ucciso a Fermo, mons. Luigi Conti ha espresso parole di condanna contro la violenza: “Abbiamo bisogno di parole di vita eterna davanti al nostro fratello Emmanuel, non del suo cadavere, ma davanti a lui, che in virtù del battesimo è stato ed è tempio dello Spirito Santo.
Avevo chiesto un pò di silenzio mercoledì scorso durante la veglia di preghiera, non sono stato ascoltato soprattutto dai media che forse per professionalità hanno altre norme ed altri criteri. Avevo chiesto silenzio consapevole della gravità del momento per la nostra comunità, adesso vi chiedo la fede… Negli anni questa città si è dimostrata veramente ospitale. Lo riconoscono i nostri fratelli immigrati scappati dalle guerre, dalla fame, dalla persecuzione religiosa.
Lo ha riconosciuto anche nostro fratello Emmanuel e la sua promessa sposa che è qui. Noi fermani siamo stati e siamo ospitali. Il dolore che accomuna tutti noi oggi chiede con forza e con urgenza un supplemento di vicinanza, di prossimità di fraternità di dialogo: va e anche tu fa lo stesso, avvicinati all’altro non stare lontano, perdona, perdona, perdona, perdona, perdona…
Mi dà fastidio quando sento i media definirli disperati, ma dove? Ma quando? Semmai noi lo siamo con la nostra vita spesso inutile e insensata. Se loro sono qui è perchè nutrono la speranza e noi richiamo di uccidere questa speranza e non sia mai fatto. E’ la divisione che uccide non è questo o quel fratello della comunità è la divisione che uccide.
Senza la fede, senza credere che il sangue di cristo ha il potere di riconciliarci, noi non ce la faremo… Dio benedica questa nostra città, benedica la nostra nazione, benedica anche questa povera chiesa fermana che negli ultimi mesi ha tanto sofferto per tante ragioni che voi conoscete, la nostra chiesa ha sofferto tanto, aiutateci, così sia”.
E durante la veglia di preghiera don Vinicio Albanesi, da 50 anni in difesa degli ultimi, iniziando dai disabili, aveva invocato misericordia per l’ucciso e per gli uccisori:
“Non siamo stati capaci di garantirti un futuro insieme alla tua amata Chiniery. Ti avevamo accolto con rispetto. Tu eri particolarmente attento, sorridente, sperando di vivere una vita finalmente gioiosa. Ti chiediamo perdono anche a nome di chi ti ha fatto del male. Sono nostri concittadini e purtroppo noi stessi soffriamo la loro aggressività…
Venivi da sofferenze indicibili: la famiglia dispersa, i bambini non nati, la violenza gratuita, la solitudine e la povertà per sopravvivere. Ti hanno dato la morte, ma hanno anche rovinato la loro vita e la vita delle loro famiglie. Che Dio li perdoni. Ricordiamo con gioia i momenti belli trascorsi insieme, soprattutto il tuo matrimonio. Eravate felici quel giorno, vestiti come fiori, insieme a tutti gli amici. Abbiamo fatto festa, una festa desiderata dopo le lunghe sofferenze dell’inferno della guerra… Tu che sei vittima e martire, guardaci dal cielo. Proteggi Chiniery, proteggi tutti i ragazzi in Italia. E non dimenticarti di noi”.
Emmanuel è stato ucciso per aver difeso la dignità di una donna, che era sua moglie, in questa Italia in cui le donne diventano sempre più vittime di violenza, anche se don Vinicio ha precisato che la città non è razzista, ma ci sono alcuni che istigano all’odio.
Emmanuel era un richiedente asilo da otto mesi ospite del seminario fermano, che era fuggito dalla ferocia di Boko Haram in un attacco in una chiesa, perso nel loro paese i genitori ed una figlia di 2 anni e un’altra piccola vita in arrivo si è spenta durante la traversata verso l’Italia, per le violenze che Chiniery ha subito prima di prendere il largo, ma ha trovato la morte da parte di alcuni giovani del posto, anche se sarà la magistratura ad accertare le cause.
La sezione italiana di Amnesty International ha paragonato questo omicidio a quello di Jerry Masslo, chiedendo un cambiamento di mentalità: “Fa rabbrividire il fatto che un uomo, scampato insieme alla sua fidanzata al terrore di Boko Haram in Nigeria abbia trovato la morte in Italia, per mano di un aggressore spinto da motivi di odio razziale. L’assassinio di Emmanuel Chidi Namdi ricorda quello del 1989 di Jerry Masslo, a sua volta fuggito dalla persecuzione, in quel caso dell’apartheid del Sudafrica, e ucciso a Villa Literno. Da allora, in quei 27 anni, in Italia nulla pare cambiato.
Anzi: espressioni xenofobe e razziste trovano sempre più spazio nei luoghi e nei discorsi istituzionali, nei titoli e nei contenuti di non pochi articoli e soprattutto in quella terra di nessuno che è l’ambiente online, dove ormai il vocabolario dell’odio è pratica quotidiana, assurdamente spacciato e rivendicato per libertà d’espressione. Il tutto accompagnato, non poche volte, da distinguo, giustificazioni, minimizzazioni e dal mancato riconoscimento del movente d’odio”.
Anche la Comunità di Sant’Egidio ha espresso dolore per questa uccisione: “La sua morte è un atto grave e disumano, rivelatore di un preoccupante clima di violenza e intolleranza verso chi arriva nel nostro Paese nella speranza di una vita migliore. Come ha affermato papa Francesco, i migranti non sono un pericolo, sono in pericolo”.
Il Centro Astalli ha ribadito che “le parole di odio sono armi che uccidono. Chi ha creduto di avere il diritto di offendere, umiliare, picchiare e poi uccidere un uomo e ridurre una donna in fin di vita soltanto perché neri dovrà assumersi la responsabilità delle proprie azioni secondo quanto verrà stabilito dall’autorità giudiziaria…
Siamo sconvolti, ma dobbiamo farci responsabilmente carico di un durissimo colpo inflitto al nostro vivere civile. Moltissimi uomini e donne ogni giorno si impegnano per la costruzione di una società aperta e accogliente. Lo fanno bene e in silenzio. Da oggi con ancora maggiore impegno e dedizione lavoreremo perché la cultura della solidarietà e dei diritti permei ogni livello della società. Faremo in modo che tutti abbiamo l’opportunità di conoscere e ascoltare chi sono i rifugiati e quanto di buono c’è nella loro presenza in Italia”.
La fondazione Migrantes ha preso in prestito la canzone ‘Pablo’ di De Gregori: “Una morte assurda, ma preparata da questo clima sociale e politico che si nasconde dietro la mano omicida. Al tempo stesso, ‘Emmanuel è vivo’, nella sua famiglia, in sua moglie e nella sua figlia morta in grembo, negli altri giovani richiedenti asilo accolti nel seminario vescovile di Fermo, nei tanti giovani che sono arrivati o stanno arrivando in Italia e in fuga soprattutto dall’Africa violentata e offesa da terrorismo, guerre, sfruttamento.
Tocca a noi ora responsabilmente aiutare a guardare a questi volti e a queste storie con occhi diversi, con parole diverse, con una cura diversa. E’ paradossale che questa morte avvenga proprio nelle Marche, la regione italiana che insieme al Veneto e all’Umbria sta segnando per la prima volta nel 2015 il calo del numero degli immigrati: rifiutare fino ad uccidere i migranti significa anche preparare la morte delle nostre città, significa non guardare al futuro”.
A livello regionale le Acli marchigiane sostengono la decisione di Don Vinicio Albanesi, della Fondazione Caritas in Veritate e della comunità di Capodarco di costituirsi parte civile “convinte che quanto successo non si tratti solamente di una rissa degenerata, ma dell’ennesimo increscioso atto di violenza razzista alla luce della allarmante sequenza di ordigni collocati nei giorni scorsi nelle parrocchie dei parroci impegnati ad aiutare gli ultimi”.
E la presidenza fermana dell’Azione Cattolica ha invitato a meditare il passo dell’accoglienza di san Matteo: “Non affrettiamoci a girare pagina, a far finta di non vedere quanto accade intorno a noi, a ignorare quanti soffiano sulla paura dell’altro, a sottovalutare il pericolo che si cela dietro molti discorsi intorno agli immigrati.
Alla giustizia spetta verificare i fatti e le responsabilità penali, alla politica promuovere le condizioni di una vita civile solidale, alla società civile adoperarsi per l’integrazione, alla comunità ecclesiale non dimenticare che alla fine saremo giudicati sull’amore”.