Famiglia: chi ha paura dei figli?

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Alcune ricerche demoscopiche, condotte in Italia negli ultimi anni, circa il rapporto tra genitori e figli, evidenziano quanto ogni bambino rispecchi talvolta, nel suo comportamento e nelle sue scelte, il modello familiare di appartenenza. La prospettiva del bambino “vincente”, per qualcuno, non è purtroppo ancora tramontata. Il programma educativo adottato da alcuni genitori mira, infatti, al raggiungimento del successo sociale; tale processo nasconde a volte il bisogno degli stessi genitori, di realizzare attraverso i figli “le proprie” aspirazioni. Nella società odierna l’apparire conta più dell’essere e in tanti cercano di creare dei figli “perfetti”! Di fronte a questa prospettiva, l’insuccesso e il fallimento non possono essere tollerati; e così, davanti all’ostacolo – asserisce un noto psicoanalista, Massimo Recalcati, autore di una recente pubblicazione, “Che cosa resta del Padre? La paternità nell’epoca moderna” – “la famiglia ipermoderna si mobilita, più o meno compattamente, per rimuoverlo senza dare il giusto tempo al figlio di farne esperienza. Le attese narcisistiche dei genitori rifiutano di misurarsi con questo limite attribuendo ai figli progetti di realizzazione obbligatoria. Ma, come ha scritto Sartre, se i genitori hanno dei progetti per i loro figli, i figli avranno immancabilmente dei destini… e quasi mai felici” .

Il compito dell’educatore – ne siamo tutti consapevoli – non è facile, e quello del genitore poi lo è ancor di meno! Eppure non possiamo fare a meno di riconoscerci “ogni tanto” eccessivamente attenti ad un prototipo di filialità incorruttibile e perfetta! Noi temiamo l’imperfezione dei nostri figli e li costringiamo (talvolta) a crescere con l’idea che non debbano sbagliare mai! Questa particolare visione della vita produce una evidente spaccatura interiore, e – nel caso di un insuccesso (scolastico, affettivo, nell’ambito delle amicizie o nel lavoro) – costringe il figlio a riconoscersi un perdente! “I genitori – prosegue nella sua analisi Massimo Recalcati – di oggi sono terrorizzati dalla possibilità che l’imperfezione possa perturbare l’apparizione del loro figlio come ideale. È un nuovo mito della nostra civiltà: dare ai figli tutto per poter essere amati; coltivare il loro essere come capace di prestazione per scongiurare l’esperienza del fallimento. Ne consegue che i nostri giovani non sopportano più lo scacco perché a non sopportarlo sono innanzitutto i loro genitori”. Questo, però, non significa offrire al figlio l’opportunità di fare tutto ciò che vuole senza essere accompagnato da una regola morale necessaria per la sua vita (sarebbe l’esatto contrario di ciò che dicevamo prima). Secondo alcune percentuali, raccolte nel corso di un recente sondaggio, il 53% dei genitori italiani desidera, innanzitutto, per i propri figli una buona posizione socio-economica, e per il 33% il benessere psico-fisico (valutabile in serenità, felicità e salute).

In un altro interessante testo dal titolo “La famiglia imperfetta. Come trasformare ansie & problemi in sfide appassionanti”, Mariolina Ceriotti Migliarese evidenzia il rischio che è possibile correre nel momento in cui la struttura familiare di origine fonda il proprio programma educativo sul principio dell’onnipotenza : “La famiglia oltre a essere un sistema eminentemente pratico è un sistema necessariamente imperfetto.[…] In famiglia non si tengono lezioni ma si vive, e vivendo ci si educa reciprocamente, con una modalità circolare nella quale ognuno influenza ed è influenzato. Ma è un sistema imperfetto, nel quale continuamente si fanno errori e continuamente si deve ricominciare. Imparare a ricominciare ogni volta che si è sbagliato è tra l’altro uno degli apprendimenti più necessari e importanti per vivere bene, e possiamo farne esperienza proprio in famiglia, così come possiamo imparare che si può chiedere scusa e venire sempre perdonati, e che si può imparare a riparare le relazioni nella sicurezza protettiva del legame reciproco. […] Il genitore perfetto, se anche potesse esistere, capace di capire ogni esigenza del figlio e di soddisfarla senza mai è confrontarlo con la frustrazione e l’incomprensione, darebbe origine a una personalità onnipotente, del tutto incapace di confrontarsi con i naturali e inevitabili limiti della vita”.

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