L’ambasciatore irlandese non risiederà più a Roma: per la Santa Sede è rischio diplomatico?
Dopo i vari rapporti governativi che avevano puntato il dito sulla responsabilità del clero irlandese nel coprire i casi, era stato lo stesso premier in carica, Enda Kenny, con un discorso al Parlamento, ad evocare le responsabilità del Vaticano nella copertura degli abusi. Dublino aveva chiesto nei mesi scorsi una risposta ufficiale al Vaticano. Questa è poi arrivata a settembre e, per quanto non del tutto soddisfacente per il governo, la documentazione resa pubblica dalla Segreteria di Stato sembrava l’atto che poteva chiudere la crisi fra i due Stati.
La chiusura della sede dell’ambasciata d’Irlanda presso la Santa Sede ha in qualche modo fatto pensare che ci fossero stati ulteriori attriti. Eppure in realtà la spiegazione economica è quella più plausibile. Anche perché, in tempi di crisi, è particolarmente oneroso per uno Stato tenere due rappresentanze a Roma. Si legge nel comunicato ufficiale che “il governo crede che l’interesse dell’Irlanda con la Santa Sede può essere sufficientemente rappresentato da un ambasciatore non residente”, e che sarà nominato un diplomatico in accordo con la Santa Sede. Il quale potrà essere accreditato e residente in qualsiasi altro paese, eccetto l’Italia. La Santa Sede, infatti, da sempre non accetta di accreditare un ambasciatore che sia già accreditato presso lo Stato italiano. Senza eccezioni.
La scelta irlandese – anche l’Inghilterra aveva pensato a chiudere l’ambasciata inglese presso la Santa Sede, ma fu l’allora premier Tony Blair ad opporsi – fa però sorgere un’altra questione: il Vaticano ha ancora un peso internazionale? A guardare la rete di diplomatici, sparsa in tutto il mondo, sembrerebbe di sì. L’ultimo incontro di Benedetto XVI con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede contava 178 relazioni diplomatiche internazionali più due speciali. Totale, 180 ambasciatori accreditati. La Santa Sede è seconda solo agli Stati Uniti d’America quanto a numero di relazioni diplomatiche. Ma il gran lavoro diplomatico della Santa Sede è quasi del tutto sconosciuto, poco comunicato, al punto che si ha la percezione che la Segreteria di Stato sia più attenta a farsi “tirare per la giacca” dai media italiani sulle questioni politiche del Belpaese piuttosto che farsi promotori di un progetto più ampio.
Il timore è che una serie di casus belli – il problema della pedofilia nel caso irlandese, quello dell’opportunità delle dichiarazioni quando a gennaio l’ambasciatore d’Egitto ritornò in patria (anche se in quel caso si trattò di una semplice vacanza) – possano portare i vari Stati nazionali a ritenere troppo onerosa la presenza di ben due ambasciate a Roma, e di tagliare quella della Santa Sede. E nel frattempo, c’è chi si fa promotore della possibilità di avere dei laici come rappresentanti diplomatici della Santa Sede. I nunzi – gli ambasciatori vaticani – nominano vescovi, e devono per questo essere vescovi a loro volta. Ma questo non è necessario per gli Osservatori Permanenti, che svolgono normali funzioni diplomatiche. C’è un rischio diplomatico nel futuro della Santa Sede?