Papa Francesco invita a coltivare la misericordia politica

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Ai primi di marzo papa Francesco ha incontrato una trentina di aderenti al movimento del cristianesimo sociale francese dei ‘Poissons Roses’ (un movimento francese, che si inserisce nell’esperienza del cattolicesimo ‘di sinistra’ ma non comunista con basi intellettuali fondate sul personalismo di Emmanuel Mounier, sulla filosofia di Paul Ricoeur, e sull’idea politica di Jacques Delors, padre dell’Europa) e al connesso laboratorio di idee ‘Esprit Civique’, affermando:

“C’è qualcosa che mi preoccupa. Certo, la globalizzazione ci unisce e ha dunque aspetti positivi. Ma credo che ci siano una globalizzazione buona e una meno buona. La meno buona può essere rappresentata da una sfera: ogni persona si trova a eguale distanza dal centro. Questo primo schema distacca l’uomo da se stesso, lo uniformizza e alla fine gli impedisce di esprimersi liberamente. La globalizzazione migliore sarebbe piuttosto un poliedro. Tutti sono uniti, ma ogni popolo, ogni nazione, conserva la sua identità, la sua cultura, la sua ricchezza.

La posta in gioco per me è questa globalizzazione buona, che ci permette di conservare ciò che ci definisce. Questa seconda visione della globalizzazione permette di unire gli uomini pur conservando la loro singolarità, il che favorisce il dialogo, la comprensione reciproca. Affinché ci sia dialogo, c’è una condizione sine qua non: partire dalla propria identità. Se non sono chiaro con me stesso, se non conosco la mia identità religiosa, culturale, filosofica, non posso rivolgermi all’altro. Non c’è dialogo senza appartenenza…

La misericordia è la capacità di commuoverci, di provare empatia. Consiste anche, dinanzi a tutte le catastrofi, nel sentirsene responsabili. Nel dirsi che bisogna agire. Non riguarda quindi soltanto i cristiani, ma tutti gli esseri umani. E’ un appello all’umanità”.

All’incontro con questa esperienza francese era presente il prof. Stefano Ceccanti, costituzionalista e docente all’Università di Roma di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato (laurea triennale) e Diritto Parlamentare (laurea specialistica): “L’Europa come tale, per il Papa, ha grandi capacità di svolgere un ruolo positivo in questa globalizzazione poliedrica, perché ha un patrimonio prezioso di radici che vanno rinnovate in modo moderno, seguendo tre grandi umanisti moderni: Mounier, Ricoeur e Lévinas… Il Papa in un vivace scambio di domande e risposte ha offerto poi sia un parametro alto (‘la politica come forma più alta di carità’, citando Paolo VI, che non si esaurisce mai quindi nelle sole intese contingenti) sia un metodo pragmatico (la politica dove tavolo in cui ci si siede e si deve essere disponibili a cedere qualcosa in nome del bene comune che richiede convergenze)”.

Cosa chiede papa Francesco al cristianesimo sociale?
“L’espressione cristianesimo sociale (e ancor più cattolicesimo sociale) mi sembra un pò limitativa e può dar luogo a equivoci. Gli amici dei ‘Poissons Roses’ con cui siamo andati dal papa sono in maggioranza cattolici, ci sono di altre confessioni e credo anche non credenti. Sono però tutti personalisti e tali si definiscono. Del resto Mounier aveva voluto così la rivista ‘Esprit’. Si tratta di un’esperienza di impegno politico (e non solo sociale) che vuole innovare ma nella logica di una cultura di governo non protestataria, che ha una precisa collocazione nella sinistra non comunista (o centrosinistra come diciamo noi italiani).

Personalisti, con cultura di governo, di centrosinistra: questa è la carta di identità. Potremmo dire che il papa chiede solo (ma non è poco) di assumere la propria responsabilità col coraggio dell’innovazione: ‘meglio chiedere scusa dopo che permesso prima’. Siamo del tutto lontani dalla retorica dei principi non negoziabili che invece selezionava rigidamente la gerarchia dei temi e che, soprattutto, affidava in ultima analisi alla gerarchia la competenza della competenza.

Dato che la politica in ultima analisi ha una dimensione ineludibile di negoziazione, in realtà la retorica del principi non negoziabili conduceva all’idea che la compatibilità delle mediazioni sui principi dovesse essere decisa preventivamente dalla gerarchia sui temi ritenuti più importanti. Qui invece lo schema prevede la valorizzazione dell’autonomia e della responsabilità dei laici.

Ovviamente ciò non esclude che le mediazioni raggiunte siano criticabili e criticate da tutti, nella comunità ecclesiale e fuori, ma senza rigidità e senza annullare competenza e responsabilità laicali. Il papa rispetta quindi sia la collocazione nel centrosinistra sia l’impostazione personalista senza recinti confessionali e stimola a lavorare su una moderna cultura di governo, capace di innovazione”.

“Se l’Europa vuole ringiovanire, deve ritrovare le proprie radici culturali. Tra tutti i Paesi occidentali, l’Europa ha le radici più forti e più profonde. Attraverso la colonizzazione, queste radici hanno raggiunto persino il nuovo mondo. Ma dimenticando la propria storia, l’Europa s’indebolisce. E’ allora che rischia di divenire un luogo vuoto”: perché il papa ha chiesto all’Europa di ritrovare le proprie radici?

“In realtà il papa ha chiesto di ritrovarle rinnovandole. Il problema non è tanto ‘l’invasione’ di culture altre che portano un ‘pieno’, ma il rischio che esse trovino un ‘vuoto’. L’Europa è stata capace di assimilare culture altre perché è riuscita con tanta fatica a far crescere l’idea e l’esperienza di società aperte. Per questo ha citato tre autori: il cattolico Mounier, l’evangelico Ricoeur e l’ebreo Levinas, che sono stati capaci di reinterpretare le proprie radici assumendo anche il punto di vista dell’altro.

Il tema delle radici è stato quindi declinato non in modo identitario regressivo, peraltro facendo riferimento in questo caso a radici mitologiche e idealizzate (tra le radici ci sarebbero anche le guerre di religione, ad esempio), ma come capacità di ricomprenderle e di farle progredire. La nostra comprensione della rivelazione di Dio all’uomo è chiamata infatti a crescere e a progredire, come ci ricorda la Costituzione Dogmatica ‘Dei Verbum’, il documento conciliare sulla Rivelazione. Le radici che ci invita a ritrovare sono quelle plurali della società aperta”.

Come un cristiano può vivere la laicità in politica?
“Anzitutto bisogna liberarsi di una falsa alternativa: c’è il rischio di vedere il ruolo dei cristiani secondo uno schema inesistente per cui o si ragiona con le categorie della società cristiana che sarebbe ancora maggioritaria (sia pure in termini di adesione implicita, non di pratica religiosa) e che potrebbe imporre unilateralmente una propria nozione astorica di ‘diritto naturale’ oppure ci si troverebbe nelle condizioni della minoranza perseguitata dei primi secoli.

Le medesime persone propongono a volte le due varianti: usano la prima quando credono di realizzare successi pratici, destinati di solito ad essere effimeri (esempio la legge 40, piena di norme chiaramente incostituzionali destinate fatalmente a cadere) e la seconda quando, anche per impostazioni massimalistiche a vocazione minoritaria finiscono soccombenti (come il family day che pretendeva di mettere il veto a qualsiasi legge sulle unioni civili).

Invece le democrazie consolidate sono costituite da un insieme di minoranze in cui le persone più responsabili cercano un consenso per intersezione capace di reggere nel tempo, anche all’alternanza tra forze diverse. La laicità è quindi pratica di mediazione sia sulla dimensione alto-basso (ricerca di mediazioni adeguate dei principi, sapendo che in ogni decisione entrano più principi in gioco) sia su quella orizzontale (intese tra attori diversi rappresentati di pezzi di società diversi)”.

Lei è autore del libro ‘La transizione è (quasi) finita’, in libreria da pochi giorni: è vero?
“Premesso che le democrazie sono in un certo senso sempre in transizione, la revisione costituzionale in corso (insieme alla nuova legge elettorale) sarebbe in grado, attraverso il nuovo Senato, di stabilizzare il rapporto centro-periferia (il cosiddetto tipo di Stato) secondo la logica di uno stato decentrato moderno e, limitando il rapporto di fiducia alla Camera, di razionalizzare bene la forma di governo”.

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