Crociata: la fede non si eredita in modo automatico
“La fede non può essere più ereditata in modo «automatico». Ciascuno deve esprimere la «sua» fede, anche quando non vengono messi in discussione i punti di riferimento essenziali del credo”. Pertanto, nel moderno contesto socio-culturale, “la prima priorità nell’impegno educativo delle Diocesi è la cura della formazione permanente degli adulti e delle famiglie”. Lo ha dichiarato mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, durante l’incontro della Commissione Presbiterale Italiana svoltosi in questi giorni a Roma per discutere sulla formazione degli adulti, argomento posto al centro degli Orientamenti Cei per questo decennio. L’estraneità vissuta oggi da molti adulti di fronte all’annuncio del messaggio cristiano non è una novità. “Se il rapporto con la Chiesa – afferma, infatti, Crociata – è di identificazione ancora per una larga maggioranza, così che in Italia possiamo ancora parlare di cattolicesimo popolare, esiste una componente critica o comunque distante non trascurabile. In questo orizzonte emergono forme di religiosità invisibili, dotate di una loro consistenza; ci troviamo di fronte agli esiti di quel processo di lungo periodo che ci ha condotti da una società in cui era virtualmente impossibile non credere in Dio, a una in cui la fede è solo una possibilità tra le altre”.
Il segretario generale della Cei sottolinea il carattere schizofrenico di alcune dinamiche moderne, che tendono a disorientare piuttosto che a dirigere l’adulto verso il conseguimento delle proprie responsabilità educative: “La post-modernità ci consegna da un lato a un ricerca solitaria di senso e dall’altro a una generalizzazione e banalizzazione dell’ascolto e della comunicazione”. La proposta di un’autoformazione – esclusivamente vissuta come giudizio tecnico – non libera l’individuo dall’isolamento. C’è piuttosto bisogno – asserisce mons. Crociata – di un altro senso di autoformazione, che va intesa come centralità della coscienza “in rapporto (con-formazione direbbe San Paolo) alla testimonianza di Cristo. È questa autoformazione che va promossa. La verità dell’incarnazione può essere intesa in tal senso come una via profondamente educativa: educare l’uomo ad essere più uomo e a realizzarsi in Cristo Gesù Signore”. Se Cristo è, infatti, la vera «persona educante» non può scomparire dagli orizzonti culturali e religiosi dell’uomo; i valori – in caso contrario – diventerebbero impersonali e ognuno potrebbe soltanto considerarsi maestro di se stesso! C’ è, dunque, un itinerario che bisogna imparare a scoprire e a percorrere. “Da ciò la necessità di guardare in modo nuovo alle persone dal punto di vista spirituale: esse non sono uno «stato», una definizione, ma dei percorsi, degli itinerari, dei dinamismi.
Questi dinamismi vanno intesi come dei campi di forza nei quali agiscono tensioni contrastanti e gli adulti come persone che vivono sull’incerto crinale del credere e del non credere, e delle diverse forme del credere, e dei diversi contenuti del credere, avvertendo, e spesso contemporaneamente, il fascino di narrazioni tra di loro contrastanti”. “Che il Cristianesimo ti è stato annunciato – affermava S. Kierkegaard – significa che tu devi prendere posizione di fronte a Cristo”. Bisogna dunque considerare l’adulto proteso verso un processo educativo che implica tutte le scelte fondamentali della propria esistenza e che sia capace di rilanciarlo negli ambiti educativi a lui propri: come genitore, insegnante, collega, amico, cittadino. “Fino a quando gli adulti – conclude Crociata – non diventano consapevoli del loro ruolo educativo, anche in ordine all’educazione della fede, rischiamo di rimanere ancora una volta nel limbo delle pie intenzioni”.