I cristiani in Libia? Come in una bolla

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Si sono chieste preghiere, e tante, alla comunità cristiana basata in Libia. Una comunità cristiana che ha visto scendere i suoi membri da qualche migliaio a poche centinaia durante la guerra di Libia, e che ora si trova costretta a ripartire da zero. E a dover cucire i rapporti con un nuovo governo, che – dichiarata la liberazione del Paese – ha già proclamato la Shari’a come legge fondamentale, e che ha già comunicato che la legge islamica sarà rafforzata. Uno scenario completamente cambiato in pochi mesi, quello delle comunità cristiane di Libia.

Sotto Gheddafi, la Chiesa cattolica si muoveva più o meno liberamente senza troppa interferenza da parte del governo. È vero, c’erano state le espropriazione ai beni dei cattolici dopo la rivoluzione che aveva portato il colonnello al potere. Ma dopo la pubblicazione del Libro Verde, la teorizzazione di una terza via democratica, la stabilizzazione del paese basata anche su un forte egualitarismo e sul livellamento delle differenze tribali, la situazione per i cristiani di Libia era migliorata. Tanto che durante la guerra, un francescano che ha voluto rimanere anonimo ha dichiarato al Catholic News Service che perlomeno “sotto Gheddafi ci sentivamo protetti”. Si può obiettare che è tipico di ogni regime far sentire tutti in qualche modo più sicuri.

Ma i primi segnali del nuovo governo di transizione sono contrastanti. Molti media riportano che per la prima volta in Libia si possono esprimere le proprie opinioni senza paura. E allo stesso tempo c’è preoccupazione del fatto che alcuni militanti islamici del nuovo regime possano volere di restringere la libertà religiosa. E in questo caso, forse la comunità cristiana è quella più vulnerabile, stretta in un Paese al 97 per cento musulmano, con sole due principali Chiese cattoliche (a Tripoli e Bengasi) e con solo 25 preti e 100 suore che devono coprire i circa 80 mila cattolici. Non va meglio la situazione per i copti. Anche con loro, i rapporti con Gheddafi si erano sgelati, tanto che il colonnello nel 2003 aveva personalmente consegnato un premio per i Diritti Umani al Papa Shenouda III.

Ora è da vedere se la guerra non ha aperto ad una nuova ondata di fondamentalismo, magari destinata a ricalcare la situazione egiziana, dove il conflitto tra copti e musulmani è stato alimentato per anni anche in funzione di mantenere in qualche modo il potere. Finita la guerra, annunciata la liberazione, una delle più antiche chiese cristiane (il Simone che portò la croce di Gesù veniva da Cirene, una antica città costiera che si trova nell’Est della Libia di oggi) si trova dunque a dover fronteggiare il pericolo del fondamentalismo di matrice islamica. Qualche segnale si è già avuto: lo scorso 20 ottobre è giunta la notizia che quattro uomini che si erano convertiti dall’Islam al Cristianesimo sono stati imprigionati e torturati per sette settimane. Non proprio un bel biglietto da visita per il nuovo governo. E già da un paio di mesi l’intelligence americana manda segnali preoccupanti su infiltrati jihadisti all’interno del movimento di liberazione della Libia. Si spiega anche per questo la necessità della Santa Sede di cominciare subito ad instaurare relazioni diplomatiche.

Dopo la morte di Gheddafi, un comunicato ufficiale molto calibrato spiegava come la Santa Sede riconosce gli Stati, e non i governi, e che pertanto non c’era stato riconoscimento ufficiale del Comitato Nazionale di Transizione, ma che allo stesso tempo la Santa Sede lo considera “legittimo rappresentante del popolo libico”. E allo stesso tempo ricordava che con il Cnt erano già stati avviati contatti: da parte di Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, da parte del nunzio in Libia e Malta monsignor Caputo, che all’inizio di ottobre ha avuto colloqui con il Primo Ministro del Cnt Mahmoud Jibril. I cristiani di Libia allora – a ranghi ridotti, perché molti di loro, stranieri, sono tornati nelle terre di origine – aspettano di vedere come sarà applicata la Shari’a. Il loro operato durante la guerra è stato definito “eroico” da mons. Martinelli, vescovo di Tripoli. Sarà eroismo anche il restare?

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