Una Quaresima di misericordia verso i poveri

Condividi su...

Don Gianluca De Ciantis, don Andrea Testa, don Alessandro Nava e don Emanuele Personeni, sono quattro sacerdoti delle comunità di Mapello, Valtrighe e Ambivere nella diocesi di Bergamo, che hanno deciso di vivere il tempo della Quaresima in una tenda piazzata davanti alla canonica per richiamare alle loro comunità il dramma di profughi e migranti costretti a lasciare le loro terre e ad affrontare i rischi del viaggio per nulla garantito e, troppo spesso, l’inospitalità della gente d’Europa.

Per spiegare questa decisione hanno pubblicato un documento in cui spiegano le motivazioni della scelta che sono molto più profonde della semplice protesta e ragionano sulle cause remote e prossime di questa crisi umanitaria: “Questa decisione nasce dalla presa di coscienza che il prezzo del nostro benessere è la riduzione in miseria di altri esseri umani. Non siamo più disposti ad accettare un sistema del genere. Per questo vogliamo lasciare simbolicamente le nostre case.

Si tratta di un segno temporaneo, fino a Pasqua. Poi si vedrà. Intanto con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla miseria del mondo. E non vogliamo abituarci a questo stato di cose. Per prima cosa vogliamo capire il legame tra miseria, politica e guerra. Ma siccome l’informazione televisiva, i giornali e gli intellettuali non aiutano molto a capire, siamo costretti a procurarci da noi l’informazione che serve”.

I sacerdoti scrivono che in tenda hanno solo “un po’ di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. E’ più di quanto molti esseri umani possono permettersi. Naturalmente non sarà facile. Abituati ad avere più del necessario, il semplice necessario sembrerà insufficiente. Questa decisione nasce dalla presa di coscienza che il prezzo del nostro benessere è la riduzione in miseria di altri esseri umani”.

Poi prendono in esame le cause per cui i paesi poveri continuano a restare poveri: “Se Europa e Stati Uniti dovessero pagare equamente le risorse prelevate dal terzo mondo, i prezzi in casa nostra crescerebbero e dovremmo rinunciare a buona parte delle nostre abitudini consumistiche. Il costo della vita qui da noi è alto ma costerebbe ancora di più se i paesi poveri potessero mettere al centro della loro economia i loro bisogni invece che i nostri. Per questa ragione nessuno in occidente sembra prendere sul serio una prospettiva del genere.

Ecco dunque la nostra decisione: staremo in una tenda per dire che non siamo disposti ad accettare un sistema che procura benessere a noi provocando sofferenza a qualcun altro. Si tratta di un segno temporaneo, fino a Pasqua. Poi si vedrà. In ogni caso bisognerà mettere a punto stili di vita coerenti con questa intuizione. Intanto con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno”.

Dopo un’attenta disamina delle guerre avvenute fino ad oggi i quattro sacerdoti hanno sottolineato che la crisi economica, la migrazione e il terrorismo sono frutti delle insane politiche occidentali e sono poche le ‘voci libere’ che si levano contro i massacri di civili: “Poche, anzi pochissime, sono le voci che si alzano contro la corsa europea agli armamenti e gli interventi militari, contro i massacri di civili in Medio Oriente, a Gaza e in Africa, contro le complicità degli stati nel traffico degli esseri umani.

Poche sono le voci indignate per la chiusura delle frontiere, contro le politiche coloniali, contro l’ingerenza politico-militare dell’occidente sempre travestita da intervento umanitario… L’indifferenza dell’opinione pubblica è assordante. La gente d’Europa e d’America preferisce non conoscere. Preferisce credere che se i nostri governi bombardano hanno sicuramente buone ragioni. E che il terrorismo è una buona ragione per bombardare.

Il risultato di queste buone ragioni sono paesaggi rasi al suolo da cui spuntano come spettri rovine di edifici a ricordare che un tempo sorgevano città. Degli abitanti nessuna traccia: uccisi sotto i bombardamenti, giustiziati, morti di fame e sete, sotto assedio per anni, venduti, comprati e rivenduti. Chi ha potuto si è messo in fuga affrontando odissee inenarrabili, tallonato da paramilitari, eserciti allo sbando, milizie straniere, mercenari al soldo di gruppi contrapposti”.

Domande che interrogano tutti, ma destinate a rimanere senza risposta: “Chi ha innescato tutto questo? A chi interessa che tutto questo continui? E soprattutto: a chi interessa veramente saperlo? Sono state le cattive politiche occidentali il brodo di coltura che ha permesso alla corruzione dei paesi arabi di prosperare, alla rivalità storica tra le fazioni religiose di acutizzarsi e all’estremismo islamico di trovare pretesti.

La società ‘civile’, gli intellettuali e i mass-media occidentali non possono nascondere o minimizzare questa responsabilità. E neppure sono autorizzati a confondere le vittime con i carnefici. In uno stato di diritto le garanzie di un processo equo vengono date a tutti, anche agli assassini, ai ladri, ai violentatori”.

Concludono la lettera, dicendo che questo gesto probabilmente non servirà a risolvere le situazioni descritte (‘neppure l’invito dell’amatissimo Papa Francesco riesce a scuoterli’), però compito dei sacerdoti è essere con i poveri: “Noi sacerdoti non possiamo rovesciare le sorti dei poveri. Però possiamo stare dalla loro parte. Possiamo protestare e progettare azioni concrete nonviolente a favore della Verità e della Giustizia.

Cominceremo a stare in una tenda perché se migliaia di esseri umani possono essere abbandonati per anni nella nostra Europa in tendopoli improvvisate, fangose, senza servizi, perché mai noi, che siamo esseri umani come loro, dovremmo abitare in una casa? Noi pensiamo di non essere più umani dei poveri perché ci debba essere concesso qualcosa di più… sapendo oltretutto che loro hanno di meno anche per colpa nostra”.

151.11.48.50