Chi legge la poesia oggi?

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Qualche giorno fa si è spento il poeta Andrea Zanzotto, unanimemente riconosciuto come tra i più grandi poeti italiani. Un poeta definito in molti modi, come sempre accade, ma su alcuni aspetti della sua opera e della sua personalità il giudizio è chiaro: la volontà di essere – e scrivere – in modo appartato, il suo legame fortissimo con la terra, la natura e, in particolare, con il Veneto, in cui era nato, cresciuto e vissuto, fino alla morte. Una ricerca stilistica sofferta, sperimentata, sì, ma lontana dai freddi sperimentalismi degli epigoni e degli imitatori. Il suo è un contatto diretto, totale, continuo con la realtà, la realtà oggettiva, non relativa, non disincarnata, ne’ tantomeno filtrata da intellettualismi. Non che la sua sia una poesia semplice: anzi, spesso è faticosa, specie quella degli ultimissimi tempi. Del resto anche la realtà si è fatta sempre più complessa, frammentata, magmatica.

Perciò il linguaggio di Zanzotto si rende aguzzo, spezzato, terreno di frequenti incursioni del dialetto. Come accade spesso, con il procedere dell’età il legame con la terra d’origine diventa più struggente e anche questa affezione al dialetto rappresenta una identificazione più totale. Diventa una lingua totale, che può raggiungere anche l’inesprimibile. Pensando a Zanzotto e alla sua opera si torna a chiedersi: chi legge poesia oggi? E questa poesia si fa leggere? I libri di versi hanno un mercato? A guardare gli scaffali sempre più ridotti con i libri poetici e a discutere le abitudini di letture più diffuse sembrerebbe proprio che leggere versi sia diventato raro e del tutto fuori moda, perfino bislacco. Studenti annoiati sono “costretti” a imparare – ma sempre meno di frequente – strofe e rime di cui poco intuiscono, qualche citazione – spesso a sproposito – nel blabla politico o intellettual-salottiero: possibile che la poesia in Italia sia solo questo? No, infatti, non è così. Perché navigando nel vasto mare di Internet , per esempio, si scoprono mondi nascosti e sorprendenti: blog, siti, forum tutti rigorosamente dedicati agli appassionati di versi. E poi scuole per imparare a scrivere poesie e miriadi di piccole case editrici che pubblicano – molte a pagamento, però – i sudati risultati della propria passione. Non si contano i premi e le pubblicazioni ad hoc.

E persino i settimanali femminili spesso e volentieri hanno rubriche fisse in cui le lettrici possono inviare i lori prodotti artistici e rimettersi al giudizio del critico di turno. Insomma, gli italiani sono ancora un popolo di poeti, se non più di santi e di navigatori. Scrivono quantità industriali di versi, ma forse non si dedicano molto alla lettura di quelli scritti da altri, fossero pure poeti sommi. E senza andare a scomodare il divino Dante: da sondaggi, ricerche e semplici esperienze dirette si ricava l’idea di una quasi totale ignoranza dell’opera di poeti come Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo… Per non parlare di altri meno noti, di cui si ignora persino l’esistenza. Alda Merini è un caso a parte, perché è diventata un fenomeno mediatico, attraverso la partecipazioni a trasmissioni televisive e per via della sua triste esperienza personale, la sua vita travagliata e passata tra un ospedale psichiatrico all’altro.

Cosa che morbosamente attrae l’attenzione dello spettatore. E anche dello scomparso Zanzotto, a parte gli specialisti, chi si preso la briga di leggere qualche raccolta, epr intero, delle sue poesie? Un triste destino, potrebbe sembrare. Ma la poesia si nutre anche di silenzi, di poche voci assorte e incantate e al maestro Zanzotto è sempre piacuto che fosse così.

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