Metaprofit: la proposta di una nuova economia

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Gli autori sono Giorgio Mion e Cristian Loza Adaui, il titolo è uno slogan: Verso il metaprofit. Gratuità e profitto nella gestione d’impresa Il più recente dei quaderni prodotti dall’ Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan ha la prefazione di Giampaolo Crepaldi ed è edito da Cantagalli. Cantagalli, Siena, 2011 “In tempo di crisi il dialogo tra economia e Dottrina Sociale della Chiesa si fa più serrato: le sfide dell’economia contemporanea, che pare incapace di assorbire i suoi stessi fallimenti, si accrescono, in cerca di nuove soluzioni.” Si legge nella scheda. E proprio l’Osservatorio mette on line una intervista con gli autori, tutta da leggere.

D – “Verso il metaprofit”: qual è l’origine di questa categoria, che pare nuova in ambito economico? R – Con il termine “metaprofit” abbiamo scelto di percorrere una strada nuova eppure antica: volevamo, infatti, sottolineare come il profitto – pur essendo un legittimo obiettivo umano – non è il solo movente dell’attività economica. Il prefisso “meta”, dunque, l’abbiamo considerato in senso etimologico come “attraverso” e “oltre”, per sottolineare come il profitto sia uno strumento e non un fine dell’attività economica.

D – Quali sono le fonti che hanno ispirato la vostra idea? R – Ci siamo contemporaneamente riferiti a due fonti: da un lato, la letteratura economico-aziendale internazionale, che ha dimostrato negli ultimi decenni una certa attenzione sui temi della responsabilità sociale d’impresa, seppur in modo non sempre condivisibile, e, dall’altro lato, la Dottrina Sociale della Chiesa. In particolare, spunti di grande innovazione si trovano nell’ultima enciclica di Benedetto XVI, che propone la pluralità di forme aziendali come soluzione innovativa per lo sviluppo economico.

D – In che senso la letteratura scientifica affronta i temi etici in modo non condivisibile? R – lo studio dei fenomeni aziendali non sfugge allo spirito dei tempi: da troppe parti, l’approccio – anche etico – all’attività economica è risolto in chiave individualistica. Abbiamo cercato di mettere in luce i limiti di questo approccio, che elimina l’elemento sociale dall’azienda e svilisce il fenomeno in un riduzionismo inaccettabile.

D – Sulla scia di Benedetto XVI, dunque… R – Esatto: abbiamo cercato di mettere a fuoco, in termini aziendali, come il ritorno ad una visione comunitaria dell’attività economica, dove accanto alle espressioni propriamente imprenditoriali vi è un fiorire di esperienze multiformi, può divenire un’innovazione fondamentale per lo studio e la gestione aziendale. Ridurre l’agire umano entro i confini angusti dell’utilitarismo – magari ammantando la cosa in chiave etica – è un torto all’uomo ed un errore scientifico grave.

D – Pensate ad un impresa un po’ meno “impresa”? R – No, non è questo il centro del nostro ragionamento: quando l’impresa fa bene l’impresa è innegabilmente già sociale, perché crea valore e lo diffonde attorno a sé. Tuttavia, ci sono tante realtà – cooperative, fondazioni, ecc. – che stanno diventando sempre più fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico, dove la logica economica è contemperata ed ispirata da altre finalità. La riscoperta di nuove dimensioni del valore aziendale non nega l’economico, ma lo esalta.

D – Nella conclusione del libro proponete una “apertura etica”: in che senso? R – Ogni scienza ed ogni ragionamento scientifico ha le sue ipotesi ed i suoi confini: le discipline aziendali sono in grado di fare un grande servizio per mettere a punto logiche e strumenti utili a promuovere la creazione di valore, economico, ma anche sociale, culturale, ambientale, ecc. Ma esse incontrano un limite, perché la loro è una forma di conoscenza speciale, da un particolare punto di vista: per altri orizzonti, invece, si deve fare riferimento ad un altro linguaggio scientifico, quello etico, appunto. E di un confronto serio in questi termini beneficiano tanto l’economia quanto l’etica.

D – Perché? R – Perché l’economia ha bisogno dell’etica per riportare l’uomo (e Dio) al centro di ogni discorso pubblico, ma anche l’etica necessita dell’economia, per porsi obiettivi “incarnati” nel mondo quotidiano.

D – Un’ultima domanda: quali condizioni perché questo “metaprofit” possa diventare realtà? R – Prima di tutto, il nostro non è un “sogno”, ma un ragionamento che parte dalla lettura della realtà, così come pure nella Caritas in Veritate Benedetto XVI non propone un’esortazione, ma un’osservazione in ordine alla pluralità delle forme aziendali. Le condizioni di sviluppo sono molteplici sia di ordine culturale – interno ed esterno all’organizzazione aziendale – sia gestionale: si pensi, ad esempio, al recupero della conoscenza come fattore generatore di valore o alla sistematicità, quale carattere fondamentale delle strategie aziendali, in vista del superamento di un’ottica lucrativa di breve periodo.

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