Alla scoperta degli eremi dimenticati: Grotta di San Venanzio, Raiano
San Venanzio decise di ritirarsi lì, nel punto in cui la gola si restringe maggiormente e dove il fiume Aterno forma una piccola cascata. L’eremo si vede ancora, dalla cascata. San Venanzio vi abitò nel ‘200. E’ lì che ci guida il nostro terzo viaggio alla scoperta degli eremi dimenticati.
Siamo nella Riserva naturale “Gole di S. Venanzio”: un’area protetta con un’estensione di 1.072 ettari ricadenti nel territorio del comune di Raiano, in Provincia dell’Aquila, tra il Parco Nazionale della Majella e il Parco Regionale Sirente Velino.
All’interno della chiesa vi sono tre altari: uno maggiore in cui si trovano resti di affreschi del ‘500 rappresentanti gli Evangelisti e due laterali contenenti le statue di San Pietro Celestino e San Giovanni Battista. Ai lati dell’altare maggiore due porte conducono una alla loggia, l’altra in un ambiente adibito a sagrestia.
Nel ‘500 vennero costruiti i due piani del loggiato: quello superiore è posto allo stesso livello della chiesa ed è collegato, tramite pochi gradini, al loggiato inferiore. Quest’ultimo si sviluppa su tre diversi livelli: nella parte più bassa, chiamata “crocetta”, vi è la “Scala Santa” scavata completamente nella roccia, la quale conduce ad una piccola grotta dove si trova l’impronta del corpo di San Venanzio.
Un lungo corridoio, sospeso sul fiume, porta alla cappella delle Sette Marie in cui è custodita l’opera d’arte più importante: un Compianto del ‘500 composto da diciassette figure in terracotta tra Apostoli, angeli e donne e uomini al cospetto del Cristo deposto.
Nel ‘900 l’eremo fu visitato da Benedetto Croce, il quale scrisse dei numerosi eremiti che si sono succeduti nella cura e dei restauri effettuati.
Strettamente legata al santuario la strada che conduce al sito, in cui si incontrano tre edicole che racchiudono le impronte del Santo: gomito, testa e piede. L’ultima è la più nota: la tradizione, tutt’oggi praticata e usata contro il malocchio, racconta che i fedeli devono lasciare dei sassolini all’andata e recuperarli al ritorno. Nelle altre due edicole si infilano gomito e testa nelle cavità per prevenire dolori reumatici e cefalee. Sopravvive anche l’usanza di raccogliere il grano di San Venanzio: una spiga spontanea che nasce intorno all’eremo e che i pellegrini raccolgono e conservano in casa.
Percorso:
Tipo: Turistico
Difficoltà tecnica: Facile
Lunghezza: 2,04 km
Partenza: 387 m
Arrivo: 295 m