I cristiani pakistani e le leggi sulla blasfemia

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Le leggi sulla blasfemia, introdotte nel 1986 con la dittatura del generale pakistano Zia ul-Haq, continuano a mietere vittime. Le denunce per “profanazione del Corano” o “diffamazione del profeta Maometto” dal 1986 ad oggi sono salite a oltre 4mila, contro i sette casi accertati tra il 1927 e il 1986 (prima della promulgazione della legge). A pagarne le spese sono soprattutto i cristiani e i fedeli di altre religioni che abitano il territorio pakistano; 647 persone (dal 1988 al 2005) accusati sulla parola per blasfemia, senza il minimo indizio di colpevolezza. Un vero e proprio massacro ideologico.

Chi si macchia del reato di blasfemia rischia il carcere a vita o addirittura la pena di morte. Talvolta sono gli omicidi extra-giudiziali a scavalcare i criteri e i tempi della legge; sono tante le persone che vengono uccise, infatti, da orde di fanatici (spesso con l’avallo delle forze di polizia locali)! Articolo 295, commi B e C del Codice penale pakistano, è questo il nome della “legge nera” che negli ultimi anni ha provocato e continua a provocare la lunga striscia di sangue per motivi religiosi, e il più delle volte per inimicizie personali, questioni economiche, interessi politici.

I cristiani in Pakistan sono circa il 2% della popolazione, concentrata in maggioranza nella provincia del Punjab. Per Basharat Gill – commenta AsiaNews – la blasfemia “protegge gli assassini e favorisce le violenze di piazza”, svelando la “debolezza del sistema giudiziario”. Nadeem Raphael aggiunge che “nessuna religione permette violenza e ferocia” contro altri esseri umani. “Non basta che l’islam sia tollerante – commenta Sadaf Saddique – tutti noi dobbiamo promuovere la pace a prescindere dalla fede professata”. Bonnie Mendes avverte infine che “è assolutamente giusto fermare gli omicidi in nome dell’islam”, ma sottolinea pure che “sono in errore anche quanti uccidono nel tentativo di esportare il loro modello di democrazia”.

Nella memoria di molti pakistani è ancora vivo il ricordo di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico per le Minoranze religiose ucciso il 2 marzo da un commando di fondamentalisti islamici perché cercava di modificare la legge sulla blasfemia. Nel suo testamento spirituale Shahbaz Bhatti affermava: “Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. […] Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione”.

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