Design italiano ante guerra

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L’arte e la cultura italiane della prima metà del ‘900 vengono riproposte in modo sempre cauto proprio a causa della contaminazione con il Fascismo. Tuttavia la forza di alcuni di quei protagonisti – tra volontà di arte e metodiche della civiltà delle macchine – resta indiscutibile e ancora oggi seducente. La mostra, dal titolo anòdino: “Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900-1940”, si visita al Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale a Roma, fino al 17.01.2016. Si vedono – alle pareti – dipinti dei maggiori artisti italiani dei primi decenni del ‘900 e  – nelle sale – sedie, divani, lumi e oggetti d’arredo firmati dai maggiori “designer” che abbellivano le case italiane di quel tempo.

Nell’Italia della prima metà del Novecento, le arti decorative – che ereditavano l’importante tradizione artigianale e artistica dei secoli moderni (dal ‘500 all’800) – si fecero interpreti delle aspirazioni al progresso sociale e ad una migliore qualità della vita di una borghesia che stava da non molto tempo sperimentando l’unità Nazionale. Ebanisti, ceramisti, maestri vetrai lavoravano in collaborazione con gli architetti e con i maggiori artisti del tempo: ebbe così origine – nell’arredamento come nella moda, nell’oggettistica come nella decorazione – quel nuovo ’stile italiano’ che si sarebbe diffuso in tutta la penisola e sarebbe stato anche apprezzato nel mondo. Da quegli estrosi precursori, negli anni ’50 e ’60 sarebbe derivato il “design industriale” italiano moderno.

Fu un periodo – tra le due drammatiche guerre mondiali – di ottimismo e di intensa creatività: sullo sfondo vi sarebbero state la rivoluzione industriale e il riformismo liberale dei governi di Giovanni Giolitti e poi le forzature della dittatura del Fascismo. Nella mostra al Palaexpo, si vede bene come – sia nella sfera, più libera e creativa, delle arti pittoriche e plastiche che nell’ambito applicativo del design e dell’alto artigianato – prese forma una originale “idea della vita”, sia pubblica che privata.

Il percorso della mostra ha un andamento cronologico. L’inizio del Novecento fu caratterizzato  dallo stile dell’Art Nouveau, noto in Italia come ’stile Liberty’ o ’stile floreale’. Punto di partenza fu l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Torino nel 1902, con le opere di Carlo Bugatti, Galileo Chini, Eugenio Quarti, Ernesto Basile, Carlo Zen. Nasceva il mito del XX secolo: con le linee curve ispirate alle forme della natura, gli accenti esotici, l’attenzione al lavoro dei pittori divisionisti e simbolisti – i quadri di Previati, Segantini, Morbelli, Pellizza da Volpedo – si oggettivava una fame di contemporaneità e di creatività post-ottocentesca che avrebbe meritato maggiore e più larga popolarità.

Su di un’altra frequenza d’onda si muoveva l’avanguardia del Futurismo: nato nel 1909 dalle idee di Tommaso Marinetti e che, dopo la Prima guerra mondiale, si manifestò come quel ’secondo Futurismo’ intenzionato ad invadere ogni ambito del vivere sociale. Nel 1915, Giacomo Balla e Fortunato Depero firmarono il manifesto della ’Ricostruzione futurista dell’universo’ dichiarando di voler plasmare l’estetica del mondo in rapido mutamento dando vita ad oggetti che uscivano dall’empireo dell’arte pura per entrare nella dimensione decorativa e dell’uso quotidiano: dai mobili ai vestiti, dagli arazzi ai giocattoli.

Negli anni ’30 – dominati dalla tendenza del ’Ritorno all’ordine’  dopo la stagione delle avanguardie – in Italia si assisté al recupero della cultura classica sia nell’ambito delle arti figurative e plastiche che nelle discipline decorative. Pensiamo alla Metafisica di De Chirico e di Savinio e al “Realismo magico” di Felice Casorati. In maniera sintonica, tra ispirazione classica e gusto déco, abbiamo le ceramiche di Giò Ponti e le creazioni in vetro di Carlo Scarpa. Per quanto riguarda la produzione architettonica e l’arredo, si affermò lo stile detto “monumentale” di Giovanni Muzio e Piero Portaluppi. Riassunse la severa, ma suggestiva, estetica del tempo il movimento del ’Novecento’, propugnato da Margherita Sarfatti e destinato a diventare segno ed espressione ufficiale del regime Fascista. Un movimento che seppe avviare anche gli esperimenti “modernisti” di artisti quali Giuseppe Terragni e Mario Radice e le opere astratte di Fontana, Melotti e Licini.

Il passaggio successivo – alle porte degli anni ’40 – fu rappresentato da quello stile “razionalista”  di artisti e designer come Albini, Baldessari, Figini e Pollini, che preludeva all’assorbimento, sia dell’arte che del grande artigianato, nella produzione industriale e nel design. Tendenze che si affermeranno in pieno negli anni ’50: in quel mondo cambiato dalla “American Way of Life” del secondo Dopoguerra.

Nella foto: Antonio Donghi. “Giocoliere”, 1936, 116 x 86 cm., olio su tela.

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