Accoglienza scomoda
Noi siamo stranieri dinanzi a te e pellegrini come i nostri padri” (1 Cr 29, 15). Queste parole del re Davide ci confermano, in un certo senso, il senso e la meta del nostro itinerare non solo perché siamo come l’uomo biblico dei pellegrini ma perché ogni creatura umana anche viandante confuso concluderà il percorso terreno raggiungendo la meta.
Un credente cammina verso “la meta”, l’Assoluto, animato da sentimenti di conversione, di penitenza e nel corso della vita cerca di porre segni semplici e di compiere scelte profonde di autentica spiritualità e l’esperienza del pellegrinaggio è semplicemente una metafora di questo viaggio più esteso e definitivo.
L’esperienza del pellegrinaggio è un dato storico e sociologico che ha da sempre messo in relazione persone, popoli, credenze e pratiche religiose, concretizzando il valore del nostro “peregrinare”. Ora, però, proviamo a considerare un’altra dimensione di pellegrinaggio e a volgere il nostro sguardo verso un’altra categoria di pellegrini. Noi che viviamo a Roma, definita città santuario, assistiamo infatti ad un continuo movimento di pellegrini che bussano alle porte della nostra città e chiedono accoglienza. Eppure non sono solo romei che giungono da sempre nella città eterna in occasione dell’ Anno Santo, oppure per visitare i luoghi significativi per il cristianesimo sperando, magari, di vedere da vicino il Santo Padre. Sono viandanti in cerca di nuovi orizzonti, affamati di pace e di giustizia, in cammino, alla ricerca di uno spazio di libertà e di dignità per loro stessi, fiduciosi di trovare un luogo dove poter vivere entrando in dialogo con gli altri e con Dio.
Questa umanità in movimento è rappresentata da nomadi, zingari, rifugiati, profughi, immigranti poveri e da tutti quelli che soffrono e chiedono un aiuto, una speranza per uscire dal disagio di una condizione precaria o di clandestinità.
A questa categoria di persone si può attribuire la qualifica di pellegrini?
Per dare spazio ad una risposta di tipo affermativo riporto il pensiero esposto nella rivista internazionale di teologia “Concilium” da José Oscar Beozzo, sacerdote brasiliano, docente presso la facoltà di Teologia di San Paolo e membro del Comitato internazionale di direzione di questa rivista. In un suo articolo lui rivolgeva la sua attenzione alla “spiritualità dell’immigrante povero” paragonandola all’esperienza abramitica ed esodica: partire dalla propria patria per avventurarsi in cerca di una terra migliore per sé e per la propria famiglia. È ovvio che la spinta a partire muove dalla ricerca di sopravvivenza e che pertanto l’immigrante è spinto da dura necessità. Questo sacerdote metteva in evidenza l’episodio dei figli di Giacobbe che partirono per l’Egitto in cerca di pane, correndo il rischio di non essere ricevuti, di essere maltrattati e ingannati (Gn 42-45). Così lui paragonava ancora quelli che affrontano le migrazioni illegali, accettando lavoro clandestino o altre forme degradanti di sfruttamento, ai “deportati” a Babilonia (2 Cr 36).
Mi sembra che proprio questa immagine di immigrante ci dovrebbe aiutare a sentirci tutti “stranieri e pellegrini” (1 Pt 2, 11), nella consapevolezza di non avere, su questa terra, una dimora stabile, protesi verso la meta definitiva, sostenuti dalla speranza come vuole l’esperienza dell’ “homo viator” nel suo pellegrinaggio terreno.
Accogliendo questi pellegrini speciali, la Chiesa stessa si fa pellegrina tra i pellegrini. La Santa Sede nel documento sulla pastorale per i migranti e gli itineranti, pubblicato in occasione del Giubileo del 2000, dichiarava di unirsi a tutti coloro che “in modo appassionato e sincero si dedicano al servizio dei deboli, dei profughi, degli esuli, degli oppressi, intraprendendo con costoro un «pellegrinaggio di fraternità». È questo il senso del giubileo di misericordia che si profila all’orizzonte del terzo millennio, meta per la creazione di una società umana più giusta, nella quale i debiti pubblici delle nazioni in via di sviluppo siano rimessi e si compia una più equa ridistribuzione dei beni della terra, nello spirito della prescrizione biblica (cfr. Lv 25)”.
Questo Anno Santo straordinario 2015-2016 speriamo porti gesti concreti in risposta a questo impegno e a questi buoni e santi propositi che la Chiesa ripropone, ribadisce e suggerisce sempre e in occasione dei grandi eventi in modo particolare.