Il Beato Marvelli modello per la santità dei giovani

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Si è appena concluso l’Anno giubilare concesso dalla Santa Sede alla Chiesa di Rimini in occasione del decimo anniversario della beatificazione dell’ingegner Alberto Marvelli con l’esecuzione dell’Oratorio ‘Iustus’, per solisti, coro e orchestra, opera di Marina Valmaggi e di Enzo Bocciero, in quattro quadri, con testi originali e stralci dal Diario di Alberto Marvelli, che ha coinvolto una cinquantina di artisti, provenienti dall’Italia e dall’estero, come il maestro di fama internazionale Adrés Juncos.

I quattro quadri sono stati così scanditi: il Seme, ossia la famiglia, luogo di amore e di formazione; Diario di un’anima, ossia il formarsi della coscienza, sino all’offerta di sé e alla decisione per un’esistenza tutta segnata dal coraggio e dalla carità; la Guerra, presagita e poi vissuta impugnando ‘le armi della luce’, anche tra le rovine e la distruzione; la Morte nell’incidente mortale e la domanda lancinante della madre: Perché?

Per l’occasione del decimo anniversario il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, ha scritto una lettera ai giovani incentrata sui ‘Beati gli operatori di pace’, a nome del santo: “Cari giovani, carissimi tutti, vi faccio pervenire questa mia risposta, tramite il vostro Vescovo.

Vi confido che appena arrivai in paradiso e guardai dall’alto il vostro/nostro pianetino, mi è tornata alla mente la drammatica immagine scolpita da Dante nella Divina Commedia. Quando stava per varcare la soglia della patria beata, si è girato indietro e ha inquadrato dall’alto la terra come ‘l’aiuola che ci fa tanto feroci’. Il Papa e il Presidente della Repubblica hanno ragione: vista da quassù, la terra appare come un piccolo astro che gronda fiumi di lacrime e sangue”.

Eppoi ha ricordato il compito dei cristiani nel perseguire ogni strada per la pace: “Carissimi, voi sapete che io sono stato chiamato ad entrare nell’anagrafe dei beati nell’immediato dopoguerra. Anche nel nostro Paese in quegli anni stava per scoppiare una guerra civile. Se questa tragedia ci è stata risparmiata, fu senz’altro perché, come dono fattoci dalla tradizione cristiana, sullo spirito della vendetta prevalse quello della riconciliazione.

All’indomani della fine della guerra, scrivevo: ‘Ormai è tempo di stringersi tutti fraternamente la mano, per procedere all’immenso lavoro che ci attende in tutti i campi della vita sociale e nazionale. Rifare le coscienze, sgombrare le macerie morali da tanti cuori traviati, trovare finalmente la vera carità che ci faccia sentire fratelli gli uni con gli altri’.

Anche oggi i cristiani, per fedeltà al Dio della pace, sono tenuti a seminare perdono e misericordia nei solchi della storia umana, perché la sua traiettoria sia piegata verso la pace. E proprio di pace parla la settima beatitudine annunciata da Gesù nel discorso della Montagna: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

Infine ha incentrato la riflessione sulla parola ‘shalom’, che significa ‘ben essere’: “Una vita benedetta è una vita in pace; è l’esistenza felice, feconda e fortunata di chi è e si sente amato, di chi si sa e si sente scelto, benvisto, benvoluto, benaccolto. E’ lo stato di grazia di chi può affrontare anche le prove più penose, perché sa e crede che davvero ‘tutto è grazia’.

Una vita benedetta è la pace profonda di chi crede che perfino un deserto di male, se vissuto per puro amore, cambia radicalmente di segno (da meno a più) e può diventare un giardino fiorito di bene, al punto che invece di produrre, a sua volta, altro male diviene concreta possibilità di gratuita, irreversibile benedizione”.

Questa beatitudine degli operatori di pace è legata alla salvaguardia del creato, come ha affermato papa Francesco nell’enciclica ‘Laudato sì’, raccomandando ai giovani uno stile di vita sobrio come il giovane Alberto: “Nei paesi ricchi viene sprecato il 30% degli alimenti. Solo in Italia rimangono invenduti e inutilizzati ogni anno 240.000 tonnellate di alimenti, pari ad oltre un miliardo di euro. Questa somma basterebbe per dare tre pasti al giorno a 600.000 persone. Positivamente il Papa raccomanda innanzitutto un cambio di mentalità:

uscire dalla cultura dello scarto e dalla logica del mero consumo per promuovere forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. Il secondo sì che il Papa domanda, conseguente al cambiamento di mentalità, è quello di nuovi stili di vita. Il consumismo ha mandato in letargo la coscienza.

Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di intasarsi di cose da consumare. Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. Infine è richiesto un più chiaro e deciso investimento educativo. Sempre di più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico. Tutti si è responsabili della pace e della protezione e cura del creato.

Termino con uno slogan. E’ di papa Francesco, per la prossima Giornata mondiale della Pace (1 gennaio 2016): Vinci l’indifferenza e conquista la pace. L’indifferenza va sconfitta con una vasta e capillare opera di sensibilizzazione e di formazione. Vi raccomando, miei giovani amici: non fatevi rubare la speranza! non fatevi addormentare la coscienza! non fatevi condizionare dall’indifferenza che regna sovrana! Riempite di Gesù la vostra giovinezza: ve la ritroverete piena di luce e sarete beati operatori di pace”.

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