Premio Nobel per la Pace alle donne africane ed un ricordo per Politkovskaya

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Strana coincidenza della storia: mentre il mondo giornalistico ha ricordato il quinto anniversario dell’omicidio di Anna Politkovskaya avvenuto il 7 ottobre del 2006, ed al contempo il mondo pacifista i 10 anni della guerra in Afghanistan, a Stoccolma, per la prima volta nella storia, il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato a due donne africane e ad una yemenita: la presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf e la sua compatriota Leymah Gbowee, e la yemenita attivista per i diritti civili Tawakkul Karman. Tre donne, scrive il Comitato per il Nobel presieduto dal segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland, premiate “per la loro lotta non violenta per la sicurezza delle donne e il diritto delle donne alla piena partecipazione al processo di costruzione della pace… Il premio rappresenta un riconoscimento del rafforzamento del ruolo delle donne, in particolare nei paesi in via di sviluppo…  Non possiamo raggiungere la democrazia e una forma di pace duratura nel mondo se le donne non possono ottenere le stesse opportunità degli uomini nell’influenzare lo sviluppo della società a tutti i suoi livelli”.

 

 

Johnson Sirleaf, 72 anni, è un’economista e ha studiato ad Harvard. E’ madre di quattro figli. Nel 2005 è diventata il primo presidente donna della Liberia democraticamente eletto e affronta nuove elezioni questo mese. Quando ha assunto l’incarico era ampiamente considerata una riformatrice, ma recentemente gli oppositori la accusano di comprare voti e usare i fondi del governo per la campagna elettorale. Leymah Gbowee è un’attivista liberiana. Ha organizzato un gruppo di donne cristiane e musulmane per sfidare i signori della guerra in Liberia. Nel 2009 ha vinto il Profile in Courage Award per il lavoro nell’incoraggiare le donne del suo Paese, martoriato da una guerra civile conclusasi nel 2003.

Il suo successo elettorale è dipeso in misura rilevante dal fatto di essere riuscita a conquistare la fiducia della popolazione liberiana superando il fattore etnico. Ad assicurarle la vittoria hanno contribuito decine di migliaia di donne che, con una campagna porta a porta, presentandosi all’uscio di ogni capanna anche in villaggi remoti e altrimenti inaccessibili a causa delle pessime condizioni della rete stradale e ferroviaria e della mancanza di mezzi di comunicazione, ne hanno illustrato meriti e programma convincendo la maggioranza degli elettori a votarla. Tra pochi giorni la Liberia andrà al voto e Ellen Johnson Sirleaf saprà se ha meritato la fiducia dei propri connazionali oltre che un premio internazionale tra i più ambiti.

Tawakkul Karman, 32 anni, è originaria dello Yemen, protagonista della ‘primavera araba’. Giornalista e madre di due bambini, ha guidato il gruppo ‘Women journalists without chains’; inoltre si è distinta nell’organizzazione delle proteste iniziate a gennaio in Yemen contro il presidente Ali Abdullah Saleh. Fa parte del partito islamico Islah e il padre della Karman è stato ministro per gli Affari legali sotto Saleh. Nel 2005 ha fondato il gruppo ‘Donne giornaliste senza catena’, in difesa della libertà di pensiero e di espressione. È stata lei a organizzare, sull’esempio delle proteste in Tunisia ed Egitto, il ‘giorno della collera’ del 3 febbraio scorso e a lei si deve in gran parte la mobilitazione degli studenti della capitale Sanah.

Mentre combatte contro gli abusi e la corruzione del proprio governo, Tawakkul Karman mostra la stessa determinazione a difendere il proprio paese dalla minaccia della violenza integralista: “l’azione politica non violenta dei giovani è la sola arma contro il terrorismo. Noi rifiutiamo i movimenti estremisti, i gruppi come al Qaeda perché non hanno altro obiettivo che il sangue. Se la nostra rivoluzione avrà successo, tutto il mondo allora sarà più sicuro”. Karman, membro del partito islamico Al-Islah, è la prima donna araba a riceverlo in 110 anni di esistenza del premio, finora assegnato in tutto a 12 donne; l’ultima era stata nel 2004 l’ambientalista keniana Wangari Muta Maathai, deceduta lo scorso 25 settembre.

Subito l’agenzia Misna ha raccolto la testimonianza di monsignor Anthony Fallah Borwah, vescovo di Gbarnga, nel nordest della Liberia: “È una gioia immensa, questo Premio Nobel è quello di tutti i liberiani, per quello che hanno passato negli anni di guerra civile, per tutti gli sforzi di riconciliazione messi in atto finora. La presidente Sirleaf ha garantito la stabilità e il mantenimento della pace ed è stata promotrice di un forum d’espressione e di libertà mai visto in precedenza. Oggi in Liberia si può parlare senza temere di scomparire o di venire arrestato. C’è una totale libertà d’espressione”.

Anche Amnesty International ha apprezzato la decisione del comitato del premio Nobel per la pace di riconoscere il lavoro delle attiviste impegnate nella difesa dei diritti delle donne nel mondo: “Questo premio riconosce ciò che le attiviste e gli attivisti per i diritti umani sanno da decenni: che la promozione dell’uguaglianza è il fondamento per la costruzione di società giuste e pacifiche. Il lavoro senza sosta di queste e di innumerevoli altre attiviste ci porta più vicini a un mondo nel quale le donne vedranno protetti i loro diritti e avranno maggiore influenza a ogni livello di governo. Oggi non celebriamo solo tre importanti donne, ma tutte le persone che lottano per i diritti umani e l’uguaglianza all’interno delle loro società. La scelta di quest’anno del comitato Nobel incoraggerà le donne di ogni parte del mondo a proseguire la lotta per i loro diritti”.

Infine Amnesty International ha preso lo spunto del premio Nobel per la Pace assegnato alle tre donne, per ricordare il quinto anniversario dell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaya: “‘In Russia i giornalisti, i difensori dei diritti umani e gli attivisti della società civile sono perseguitati e spesso uccisi a causa del loro lavoro. Questo è intollerabile. Gli attacchi nei loro confronti non sono sottoposti a indagini complete e imparziali e i responsabili non vengono portati di fronte alla giustizia. Se e fino a quando queste voci critiche non riceveranno il riconoscimento e la protezione di cui hanno bisogno e diritto, la Russia non avrà una società civile di cui necessita. Al suo posto, continueranno a propagarsi corruzione, abusi di potere e violazioni dei diritti umani. Nel frattempo, difensori dei diritti umani e attivisti della società civile continuano a subire minacce e intimidazioni perché coraggiosamente svelano le violazioni dei diritti umani e la corruzione nella Federazione russa. Dal 2006, diversi di loro sono stati attaccati, picchiati brutalmente o assassinati”.

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