Muore Steve Jobs, trionfa il digital chic

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La morte di Steve Jobs chiude un cerchio ideale iniziato qualche giorno fa con l’autosospensione di Nonciclopedia causa “vascorossiano” risentimento per presunte diffamazioni a suo carico e con il comunicato di protesta che campeggia nell’home page di Wikipedia nel quale l’enciclopedia libera insorge contro una censoria legge anti-blog. Nel primo caso poco male, ma Wikipedia non funzionante (sul web sono già spiegati i modi per aggirare il blocco) provoca nell’internauta un senso di frustrazione. È sempre più difficile, infatti, non trovare ciò che cerchiamo in frammenti di tempo irrisori. Wikipedia ci dava tutto e subito generando quella condizione di istantaneità permanente che caratterizza la cultura contemporanea. Anche il passaggio a miglior vita di Jobs è stato fagocitato immediatamente innescando post, tweet e ogni manifestazione della cultura digitale esistente. In alcuni casi questo festival improvvisato del necrologio digitale ha assunto toni vagamente patetici. Milioni di utenti Facebook, ad esempio, hanno tributato l’uomo esaltandone la genialità e linkando il video del discorso tenuto dallo stesso Jobs all’Università Stanford il 12 giugno 2005. Anche i giornali (stampa e televisione) hanno fatto altrettanto dando ampio spazio alla notizia.

Certamente Jobs è stato un rivoluzionario, un genio dell’informatica. Certamente Apple e i suoi strumenti hanno contribuito a stravolgere il modo di comunicare, sentire musica, guardare video. Ma siamo proprio sicuri che coloro che adesso lo osannano siano pienamente coscienti di ciò che Apple rappresenta? Una cosa è esaltare l’uomo (di cui non si discute) un’altra è glorificarlo perché l’Ipad è figo. La cultura Mac è certamente “cool”. Un Iphone è un concentrato di tecnologia e di usi sociali straordinari ma siamo sicuri che effettivamente abbia, in questi anni, agito per il comune ossia favorito le relazioni, abbattuto divari e costruito ponti sociali? Non proprio. Basta fare un piccolo esperimento, banale – si potrà obiettare – ma che ben simboleggia l’ “Apple-pensiero”. Provate a connettere un qualsiasi smartphone con un Iphone tramite tecnologia bluetooth. Non ci riuscirete. Quest’ultimo rifiuterà come a dire: “Io sono un Iphone e tu non puoi avere nulla a che fare con me”.

Provate, ancora, a connettere un Ipod con il vostro pc e scaricare la musica salvata. Non ce la farete mentre con un economicissimo lettore mp3 ci riuscirete senza alcun problema. Scrive Benedetto XVI nel messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali (24 maggio 2009) che il desiderio di comunicazione di amicizia così presente nella cultura digitale «è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia». L’impressione è che Apple abbia voluto costituire una famiglia a sé contribuendo – non me ne voglia Jobs – a creare una generazione di “digital chic” che nulla hanno a che fare con l’essenza più autentica della cultura digitale: essere convergente, paritaria, corresponsabile. Quei “digital chic” che adesso ne sposano la filosofia postando a più non posso invece di fare il silenzio necessario per la scomparsa. Ma anche questa è cultura digitale.

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