Non separiamo il teologo dal Papa: un colloquio con il direttore di Communio Aldino Cazzago

“Communio”, nasce nel 1972 da una intuizione del teologo svizzero H.U. von Balthasar, e tra i suoi fondatori annovera l’attuale pontefice. Qual è la missione che da allora Communio porta avanti?
La storia che “Communio” ha percorso, per più di un quarantennio, è abbastanza lunga e importante. Nel periodo immediatamente successivo al Concilio Vaticano II, la rivista più in vista di quel tempo (ancora oggi esistente) era “Concilium”, una rivista che tentava di rilanciare i temi e il rinnovamento ereditati dal Concilio stesso. A questa rivista contribuirono anche Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger con la pubblicazione di alcuni articoli. Ben presto però i due illustri teologi, per divergenze d’indirizzo, decisero lasciare la rivista e di iniziare una nuova avventura teologica. Fu così nel 1972 nacque la rivista “Communio” con le prime due edizioni italiana e tedesca. Oggi la rivista ha 14 edizioni. Von Balthasar ripeteva spesso che il sapere teologico non deve rinchiudersi in una nicchia, in una torre per diventare oggetto di studio riservato a pochissimi, ma uscire in campo aperto per confrontarsi con tutti i saperi (con la letteratura, la musica, la storia, la filosofia). È per questo che nelle redazioni di “Communio” non ci sono solo teologi di professione ma anche studiosi di altre discipline. La teologia deve essere un sapere che ha il desiderio, la voglia e anche la fierezza di confrontarsi e di interloquire con tutti i saperi presenti nella società civile, nei vari luoghi dove il sapere si elabora. Nel suo primo articolo per la rivista, Balthasar scriveva parole che non hanno perso di attualità: “A noi sembra infatti che in questa parola [communio] sia racchiusa una chiave per intendere il significato dell’ora del mondo e della Chiesa ed il rapporto vicendevole tra l’una e l’altro. La parola nella sua ampiezza contiene un programma. La rivista si propone di svilupparlo”. Questa è la missione che ancora oggi “Communio” porta avanti.
Come lavorate nella redazione internazionale di “Communio”?
Ogni anno, per quattro giorni, alcuni redattori provenienti dalle nazioni dove essa è pubblicata si incontrano in una città dell’Europa (là dove la Rivista viene edita). Durante questi quattro giorni i partecipanti cercano di elaborare una riflessione comune, un comune sentire, attorno ai temi che nell’anno seguente saranno oggetto dei singoli quaderni della rivista. In questo modo nelle singole versioni della rivista vengono tradotti e pubblicati contributi comuni decisi appunto nella riunione internazionale e contributi propri di ogni redazione. Nello scorso maggio a Budapest abbiamo affrontato i seguenti temi: il ritorno di Cristo, la testimonianza, il morire e la Chiesa nella prospettiva della sua cattolicità. Nell’ottica della preoccupazione di Balthasar prima accennata, la rivista si pone fondamentalmente a servizio e stimolo della vita della Chiesa. Cerchiamo di offrire una riflessione teologica tenendo ben in vista la dimensione del servizio ecclesiale.
Qualcuno pensava che il Papa “teologo” avrebbe potuto incontrare serie difficoltà a dialogare con i fedeli, soprattutto con i giovani… invece?
Invece, questo Papa, come abbiamo visto nel corso della recente Giornata Mondiale della Gioventù o durante il viaggio apostolico in Germania, non ha assolutamente difficoltà a dialogare con i fedeli e in particolare con i giovani. A mio avviso è importante, però, non dividere in maniera artificiale il Ratzinger teologo, dal Ratzinger vescovo e papa. Se si ha l’onestà di andare a rileggere i libri da lui pubblicati fin dagli anni 60/70 ci si accorgerà che la capacità di analisi e di lettura della situazione e del vissuto ecclesiale mostrata dal prof. Ratzinger nei suoi scritti è la stessa che riscontriamo oggi in Benedetto XVI. Papa Ratzinger non ha nessuna difficoltà a parlare ai fedeli e ai giovani anche perché il bisogno del cuore dei giovani di 50 anni fa non è diverso da quello dei giovani di oggi. Oggi è semmai cambiato il contesto e il modo in cui quel bisogno si manifesta.
La teologia – parafrasando una citazione di S. Bonaventura – può venire dall’arroganza della ragione, che vuole dominare tutto, e far passare Dio da soggetto a oggetto di studio. E’ un rischio che lei ritiene fondato oggi?
Purtroppo è un rischio fondato. Non è così lontano, infatti, il pericolo di trasformare Dio e il mistero di Dio in un oggetto che è possibile comporre e scomporre a proprio piacimento. Oggi un certo tipo di teologia rischia questa prospettiva. Nella storia della Chiesa il tentativo di ridurre Dio da soggetto ad oggetto è sempre stato presente e le eresie del passato ce lo dimostrano. Balthasar ha scritto che Dio resta sempre un “soggetto assoluto, unico e perciò in oggettivabile” che “non può essere abbassato ad un oggetto da osservare neutralmente”. Un antidoto a questo pericolo ce lo rammenta uno dei tesori della tradizione orientale dei Padri della Chiesa: la percezione cioè che davanti a Dio – alla fine, dopo tutto quello che abbiamo detto dopo tutte le nostre parole per contemplarlo, per conoscerlo, per amarlo – c’è bisogno di un po’ di silenzio. Quello che nel pensiero dotto si chiama “teologia apofatica”.
Siamo prossimi ai 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, “Communio” come si prepara a questa celebrazione?
Gli storici della Chiesa dicono che è necessario lasciar trascorrere un periodo di 50 anni prima di iniziare un’analisi seria sulla recezione dei principali avvenimenti ecclesiali. “Communio” si sta preparando a questo anniversario scegliendo di riflettere su quello che è stato il tema principale del Concilio: la Chiesa. Paolo VI quando era ancora arcivescovo di Milano, alla prima sessione dei lavori conciliari, lo disse chiaramente: il Concilio deve occuparsi della Chiesa. Come redazione ogni anno dedicheremo uno dei quaderni della Rivista ad una tematica ecclesiologica e così le 14 redazioni di “Communio” cercheranno di riflettere e di far conoscere nel proprio paese un rinnovato e comunionale sforzo di riflessione sui diversi aspetti del mistero della Chiesa e sulle sue implicazioni con la vita di ogni cristiano. Quest’anno abbiamo affrontato il tema della Chiesa apostolica, della Chiesa cioè che deve continuare nel tempo la missione che Cristo ha affidato agli apostoli. L’anno prossimo affronteremo il tema della cattolicità della Chiesa. Balthasar in una famosa intervista disse che la Chiesa deve essere “un unico grande gesto che indica Cristo”.
Chiesa d’Occidente e Chiesa d’Oriente, è ancora lungo il cammino verso l’unità?
Da molti anni seguo il cammino del dialogo ecumenico soprattutto nei rapporti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Un dialogo che ha ripreso vigore fin dai primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, soprattutto in seguito al famoso viaggio apostolico ad Istanbul nel 1979, quando il Papa disse che si era deciso di riprendere il dialogo ufficiale tra le due Chiese. Oggi c’è una commissione di 60 persone, tra cattolici e ortodossi, chiamata a riflettere insieme sui principali punti di ostacolo e di divisione della Chiesa. Sappiamo che il principale punto di divisione tra le due Chiese è costituito dal primato del Vescovo di Roma e dal suo posto nella comunione delle chiese. Dal 1982 con il documento di Monaco su Chiesa, eucaristia e Trinità si sono via via elaborati diversi testi molto interessanti anche se forse poco conosciuti. La Commissione mista sta ora affrontato proprio il tema del ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio.
Aldino Cazzago (1958) appartiene all’Ordine dei Carmelitani Scalzi ed è sacerdote dal 1983. Ha studiato al Pontificio Istituto Orientale di Roma. Insegna Teologia dell’Oriente cristiano e Agiografia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università Cattolica di Brescia. Tiene corsi anche presso lo Studio Teologico Sant’Antonio di Padova della Facoltà Teologica del Triveneto. Ha pubblicato Cristianesimo d’Oriente e d’Occidente in Giovanni Paolo II (Jaca Book, 1996); Paolo VI. Invito alla lettura (San Paolo, 1999); I santi danno fastidio (Jaca Book, 2004); Il cristianesimo orientale e noi. La cultura ortodossa in Italia dopo il 1945 (Jaca Book, 2008). Dal 1986 fa parte della redazione italiana di Comminio e dal 2007 ne è diventato direttore.