Migranti: strage europea

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Ormai nel mar Mediterraneo la strage non si arresta più: secondo l’OIM (Organizzazione Mondiale per le Migrazioni) sono oltre 2000 i migranti morti nel tentativo di attraversare il mare per raggiungere l’Europa, dall’inizio dell’anno fino a fine luglio. Nello stesso periodo del 2014 erano stati 1.607 migranti morti (mentre in totale lo scorso anno le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo sono state 3.279).

Questi numeri confermano come questo sia ‘il percorso più mortale per i migranti in cerca di una vita migliore’. In particolare, come nel 2014, la stragrande maggioranza è morto nel Canale di Sicilia sulla centrale via del Mediterraneo che collega la Libia e l’Italia. Secondo l’organizzazione ciò è dovuto alle ‘carrette del mare utilizzate da contrabbandieri e trafficanti, che aumentano significativamente la probabilità delle tragedie in mare’.

La via del Mediterraneo centrale è molto più pericolosa di altri percorsi: “L’Italia e la Grecia hanno sperimentato quest’anno un afflusso simile di migranti: rispettivamente circa 97.000 e 90.500. Ma i tassi di mortalità sono molto diversi: circa 1.930 persone hanno perso la vita cercando di raggiungere l’Italia, ma solo circa 60 sono morti nel tentativo di raggiungere la Grecia”.

L’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) nei giorni scorsi ha reso noto che oltre 225.000 migranti e rifugiati sono arrivati quest’anno in Europa attraversando il mar Mediterraneo, di cui 130.500 sono sbarcati in Grecia, in particolare sulle isole di Lesbo, Kos, Chio, Samo e Lero nel primo semestre dell’anno con gli sbarchi aumentati del 750% rispetto allo anno scorso. Solo a luglio i migranti arrivati in Grecia sono stati 50.000; 20.000 in più rispetto a giugno.

Le nazionalità di provenienza più numerose sono Siria (38%), Eritrea (12%), Afghanistan (11%), Nigeria (5%) e Somalia (4%). Le proporzioni cambiano però se rapportate ai soli migranti arrivati in Italia: Eritrea (27%), Nigeria (12%), Somalia (8%), Sudan (6%) e Siria (6%). Tra i profughi arrivati in Grecia la maggioranza assoluta è siriana (63%), seguita a lunga distanza da afghani (20%) e iracheni (5%). Le nazionalità di chi arriva in Spagna rispecchia la dislocazione geografica e le piste differenti dei migranti: Camerun (19%), Algeria (16%), Costa d’Avorio (15%) e Guinea (11%).

E l’immigrazione è il pensiero in cima alla mente degli europei, secondo l’ultima ricerca dell’Eurobarometer, il termometro delle opinioni degli europei. La ricerca è basata su dati raccolti nel maggio 2015. L’immigrazione e il controllo dei flussi è al top delle preoccupazioni degli europei per il 38% del campione, +14 punti rispetto allo scorso semestre. Scende nelle priorità la crisi economica (27%, -6 punti) e disoccupazione (24%, -5 punti). Sette europei su dieci sarebbero d’accordo sull’implementare una comune politica migratoria.

Il 51% degli europei è favorevole all’accoglienza, ma solo di altri cittadini provenienti da Paesi UE. Il 56% ha invece un’opinione negativa riguardo i migranti extracomunitari. La questione non riguarda più le nazioni del Mediterraneo, ma l’Europa intera, come l’Ungheria, la Francia e la Gran Bretagna, tantoché mons. Marc Stenger, presidente di Pax Christi Francia e vescovo di Troyes, ha scritto che “è legittimo adottare misure di sicurezza e di controllo… La questione dei migranti non potrà essere regolata unicamente con adeguamenti tecnici.

Il rischio è sempre quello di dimenticare che abbiamo a che fare con gli esseri umani che hanno una storia e una dignità. E non numeri da apporre nelle colonne delle statistiche. Ciò che le violenze a Calais hanno rivelato è innanzitutto la mancanza di coerenza nelle nostre politiche di accoglienza e nelle legislazioni sul lavoro del continente europeo”.

La sezione francese di Pax Christi si è opposta al moltiplicarsi dei centri di detenzione amministrativa, alla marginalizzazione di queste persone nelle zone di passaggio e di frontiera nonché alle politiche migratorie finora adottate dall’Europa ‘sotto forma di quote’: “Occorre cercare vie nuove d’integrazione e soluzione dei conflitti che potrebbero veramente invertire la rotta”.

La situazione di Calais ha infine rivelato anche l’esistenza di un flusso di popolazioni da Siria, Sud-Sudan, Eritrea e da altre zone di conflitto così come l’esistenza di trafficanti di esseri umani che ‘organizzano queste filiere della miseria con la forza, la violenza, il furto’; ma anche “l’esistenza di numerose persone che sul posto stanno lavorando per dar da mangiare, offrire una doccia o un luogo di riposo a queste persone in esilio”.

Ed anche i vescovi inglesi hanno chiesto ai politici di ‘riconoscere la disperazione di chi cerca asilo’; in una lettera al Telegraph, anche il vescovo responsabile della Conferenza episcopale inglese per i migranti, mons. Patrick Lynch, è intervenuto sulla situazione dei migranti:

“Mi ha rincuorato leggere l’impegno congiunto di Theresa May, il ministro degli Interni, e di Bernard Cazeneuve, il suo omologo francese, per fornire una protezione a chi fugge da un conflitto e perseguire invece i criminali spietati che incoraggiano così tante persone a intraprendere un viaggio pericoloso. Dobbiamo rispondere alla situazione a Calais riconoscendo la disperazione di coloro che chiedono asilo, e contribuendo a mettere in atto (soprattutto in Francia) procedure più efficienti per valutare in modo equo e rapido i richiedenti asilo.

Dobbiamo lavorare con la Francia per migliorare le misure di sicurezza, e sostenere chi (come in Italia, Grecia, Spagna e Malta) è impegnato in missioni di soccorso per le migliaia di migranti che attraversano il Mediterraneo… A livello globale vorrei incoraggiare il nostro governo a lavorare a stretto contatto con gli altri governi, agenzie umanitarie e comunità di fede dei Paesi da cui provengono i migranti e dei Paesi che li accolgono.

Le cause di questa migrazione di massa sono complesse, conflitti armati, guerre civili, l’ascesa di Isis, il fallimento di alcuni Stati e la loro incapacità a funzionare adeguatamente, la depressione sociale e la povertà. Tutti questi fattori acuiscono la disperazione. Le Chiese e le comunità di fede in alcuni di questi Paesi agiscono unicamente per offrire assistenza a coloro che fuggono dal conflitto, ma anche per aiutare le persone, soprattutto i più vulnerabili, a non cadere nelle false promesse dei trafficanti degli esseri umani”.

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