Seconda giornata di catechesi. Lo Spirito Santo e la Chiesa
Proseguono gli incontri dei giovani di tutto il mondo con i loro vescovi per le catechesi dedicate oggi al tema “Lo Spirito Santo, anima della Chiesa”. Il vescovo di Ivrea Arrigo Miglio ha risposto ad una delle domande classiche e sempre attuali dei giovani nei confronti della Chiesa istituzione. “Cosa dire delle miserie, dei peccati, delle ombre, della “sporcizia” che sovente ci mettono in crisi?”.
Ecco la risposta: “Quando parliamo della Chiesa come del Corpo di Cristo che vive di Spirito Santo non lo facciamo per coprire le miserie e i peccati delle persone che compongono il Corpo, ma perché non vogliamo confondere il progetto di Gesù con la nostra realtà di poveri peccatori”. Al tempo stesso, bisogna rispondere ad una domanda: “Che cosa chiede a noi lo Spirito Santo?” In primo luogo di riconoscere sempre umilmente i nostri peccati e di cominciare a mettere in questione anzitutto noi stessi. Poi di guardare sempre verso l’orizzonte più ampio e chiedere perdono.
“Se vogliamo una Chiesa santa, luminosa, impariamo ad inginocchiarci”, ha detto il vescovo. C’è poi il comandamento della carità. “Il Santo Padre ci ricorda, nel suo Messaggio per questa GMG, che “l’efficacia della missione presuppone che le comunità siano unite”. Di questa carità fa parte anche un forte impegno ecumenico per essere fedeli alla preghiera-testamento di Gesù. Ma naturalmente occorre essere esigenti anzitutto con noi stessi, ha concluso Miglio: “Questa è la strada per essere sempre uniti al Cristo reale, al suo vero Corpo, non ad un Gesù virtuale, che rischia di essere un fantasma, incapace di trasformarci e di salvarci”.
Un invito a dare una testimonianza “di gioiosa comunione” viene invece, dell’arcivescovo di Corfù, mons. Ioannis Spiteris, che chiede ai giovani di far capire con la loro testimonianza “agli uomini secolarizzati che la vita in Cristo ci fa superare l’egoismo e la chiusura”. Senza pretendere “immediate conversioni, ha detto, senz’altro queste celebrazioni sono un aiuto per la vita di fede, lasciando poi lavorare lo Spirito Santo nella profondità dei cuori di ciascuno”.
“Nessuno può accontentarsi di fare la parte del parassita; ciascuno invece è responsabile del tutto e nelle sue scelte tiene conto del tutto”, aggiunge monsignor Dante Lanfranconi. Nella sua riflessione, il vescovo di Cremona ha spiegato cosa significa appartenere alla Chiesa partendo dall’analogia del rapporto che c’e tra le membra dello stesso corpo. “L’appartenenza alla Chiesa – ha sottolineato – è ben diversa dall’appartenenza a una nazione, a una associazione, a un gruppo. Infatti in questo caso non tocca l’essere e l’identità del soggetto; per cui se si dissocia anche totalmente dal gruppo, anche se cambia nazionalità, non perde però la sua identità personale”. Per il cristiano invece non è possibile dissociarsi dalla Chiesa, come il figlio non può interrompere il riferimento alla madre che lo ha generato”.
Da parte sua, il segretario generale della Cei , monsignor Giuseppe Betori, ha ricordato che “la fede è come un germe, che cresce nella perseveranza dell’ascolto”. E ha proseguito parlando degli apostoli, “testimoni per eccellenza”.”Un cuore solo e un’anima sola: questa è la comunione cristiana – ha evidenziato mons. Betori – in forza di un medesimo spirito che fa di noi un solo corpo. Se noi siamo una cosa sola non possono essere le cose a dividerci. Nella comunione cristiana non c’è spazio per un possesso egoistico che priva il prossimo di ciò di cui ha bisogno. La proprietà non va vissuta come un fattore di esclusività, ma come mezzo per far crescere e aiutare i fratelli, nella logica del dono”. È, in altri termini, un “impulso gioioso di far ricco il fratello della propria ricchezza”.
“La Chiesa è Cristo – aggiunge il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti – in qualità di capo; e siamo ciascuno di noi, in qualità di membra”. Ciò che conta, è aver coscienza che “apparteniamo alla stessa famiglia”, perciò “è un diritto-dovere partecipare alle gioie e alle sofferenze degli altri membri, superando il pericolo dell’estraneità e indifferenza, dell’isolazionismo sdegnoso, da superuomo che non ha bisogno di nessun altro”.
Tutta dedicata all’amore la catechesi di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto. Ha chiamato sull’altare sedici giovani e li ha fatti abbracciare. L’arcivescovo ha spiegato che l’azione dello Spirito rende “presente il Figlio ogni volta che sappiamo dire grazie, che cioè sappiamo accogliere l’amore altrui. Ma – ha aggiunto – non basta cominciare ad amare: occorre lasciarsi amare, essere umili di fronte all’amore altrui, fare spazio alla vita, accogliere l’altro”.
La testimonianza di Ingrid Betancourt “che ha affermato di avere scoperto grazie alla sua detenzione l’importanza dello Spirito Santo nella sua vita” è stata al centro della catechesi per i giovani belgi tenuta da mons. Léonard, vescovo di Namur. “Lo Spirito santo sa meglio di me di che cosa ho bisogno: questa è una delle sue scoperte spirituali fatte nel profondo della giungla”ha detto riportando le parole delle Betancourt. Poi un’esortazione ai giovani: “Siate portatori di Dio, siate teofori!”.