Da “La porta” a “Il vecchio pozzo” la Szabo’ fa respirare l’ Ungheria

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Un antico pozzo sepolto e pericoloso e il divieto assoluto di avvicinarvisi: bastano queste due semplici “inneschi” narrativi per far scaturire un mondo straordinario, pieno di vita e di poesia. Tutto questo accade nel romanzo “Il vecchio pozzo” di Magda Szabo’ appena pubblicato dall’Einaudi e appena arrivato nelle librerie italiane. La Szabo’ è la maggior autrice ungherese del XX secolo, morta nel 2007, molto amata in patria, in Germania e in molti Paesi dell’Est, da qualche anno tradotto e riproposta in Italia dall’editore Einaudi: un’iniziativa benemerita, perché si tratta di un’autrice formidabile e una delle più belle riscoperte letterarie degli ultimi tempi, insieme a quella di Irene Nemirovski. Grazie soprattutto al romanzo “La porta”, considerato il suo capolavoro, rapidamente si è formata una vera e proprio “fan club” della Szabo’, con tanto di blog e di forum, che analizzano e sviscerano quasi riga per riga i suoi romanzi. Il fatto è che siamo in presenza di un’autentica narratrice toccata dal dono del saper vedere – e tradurre in parole – il cuore poetico delle cose, della realtà. Le sue protagoniste femminili sono spesso segnate dal crisma dell’esperienza del dolore e pagano duramente il voler essere coerenti con un’idea, con un sentimento, con la difesa della famiglia.

Tratto autobiografico, visto che la Szabo’, pur avendo riconoscimenti ufficiali per la sua attività di scrittrice, poetessa, intellettuale, per molto tempo, non essendo “organica” al regime comunista ungherese, è stata emarginata e boicottata. Era una donna profondamente religiosa, di credo protestante, e religioso è, in buona sostanza, il percorso umano dei suoi personaggi, posti dinanzi al Mistero e alle sfide dolorose del destino. In questo ultimo romanzo presentato ai lettori italiani il tratto autobiografico è scoperto: si tratta proprio del racconto dell’infanzia e dell’adolescenza di Magda, rivelato come un mondo misterioso e pieno di tesori, un continente ricco di personaggi e avventure, la cui cifra simbolica e fisica è identificata proprio nel vecchio pozzo che si trovava in un angolo del cortile della casa di Debrecen, in cui l’autrice visse per molto tempo. Un pozzo segnato dall’interdizione dei genitori, ma proprio per questo oggetto di curiosità irrefrenabile da parte della bambina.

In quel pozzo esiste il meraviglioso mondo capovolto dell’infanzia felice e perduta, trasformata poi nel mondo interiore da cui scaturiscono le invenzioni poetiche e narrative della futura scrittrice. E ci sono i genitori, a loro volta scrittori “mancati”, c’è la città ungherese di Debrecen, con la sua bellezza scintillante della primavera e delle feste di Natale, gli animali amati (soprattutto i gatti), i parenti, i giochi, la scuola. Dal pozzo, quando Magda ritorna alla vecchia casa ormai adulta e carica di una vita difficile, saltano fuori tutte queste meraviglie e danno vita ad un nuovo romanzo. Non deve essere stato difficile alla bimba che viveva in quella casa pensare di diventare un giorno una scrittrice, come dimostra la scena rappresentata nelle prime pagine del “Vecchio pozzo”, che spiega come i genitori, , passano le serate a inventare fiabe mirabolanti insieme alla loro figlioletta, la quale partecipa attivamente alla creazione di questi mondi magici, perché , scrive la Szabo’, e da autentici , madre, padre e figlia passano le ore a inventare mostri giganteschi presto debellati, nuvole acchiappate con un semplice fischio, invenzioni strampalate e persino un tantino preveggenti, regni stabiliti in isole remote, dove l’erede al trono assomiglia immancabilmente a Ifi, il gatto di casa.

 

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