Comunità di Sant’Egidio: dare un’anima alla globalizzazione
“La globalizzazione, che è una grande risorsa, ha bisogno di trovare un’anima”: è stato il messaggio contenuto nell’appello per la pace firmato dai 300 leader religiosi riuniti dall’11 al 13 settembre dalla Comunità di Sant’Egidio e dal card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga, nel capoluogo bavarese per incontro mondiale ‘Bound to Live Together. Religioni e culture in dialogo’, seguita anche in mondovisione grazie alla diretta televisiva.
Poi il Gran Mufti Ceric e il vescovo ausiliare mons. Pero Sudar, entrambi di Sarajevo, all’unisono dai microfoni, mentre sulla Marienplatz di Monaco piena di persone, declinando il sole dietro l’antica cattedrale Frauenkirche ed il municipio, invitavano le persone a ritrovarsi a Sarajevo nel prossimo anno: “L’anno prossimo a Sarajevo!”, a 20 anni dal sanguinoso assedio della città nel corso del conflitto nell’ex Jugoslavia: “Sarajevo è la prima Gerusalemme di Europa, la seconda del mondo, una città di antica convivenza di ebrei, cristiani e musulmani”.
Infatti l’appello finale, consegnato dai bambini di varie nazionalità ai politici, ha sottolineato il significato delle religioni per la pace: “Guardiamoci con più simpatia e tutto tornerà possibile. È’ tempo di cambiare. Il mondo ha bisogno di più speranza e di più pace… Chi usa il nome di Dio, per odiare l’altro e uccidere, bestemmia il Nome Santo di Dio. Per questo possiamo dire: non c’è futuro nella guerra! Non c’è alternativa al dialogo… Il dialogo si è rivelato oggi l’arma più intelligente e pacifica. E’ la risposta ai predicatori del terrore, che addirittura usano le parole delle religioni per diffondere odio e dividere il mondo. Niente è perduto con il dialogo”.
L’incontro bavarese, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, si era aperto domenica 11 settembre con un ricordo delle vittime dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, in collegamento audio-video con New York: “Quell’evento che ha aperto in modo tragico il XXI secolo, aveva affermato il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, fu letto da molti come conferma di un’interpretazione della storia: la realtà era un conflitto permanente tra civiltà e religioni, in particolare tra islam e Occidente”. Infine il prof. Riccardi aveva concluso il suo intervento con una speranza, in quanto in questo mondo, spaventato dalla crisi economica, “ci vuole un soffio che rianimi la speranza e guidi alla coscienza di un destino comune. Le religioni mostrano che gli uomini tutti compiono un unico grande viaggio… Bisogna rianimare in tutti cantieri dell’unità la tensione unitiva, semplice e basilare”.
E dalla Terra Santa è arrivato un monito a promuovere la pace, attraverso le parole del rabbino capo emerito di Haifa, Shear Yashuv Cohen: “Noi che viviamo in Terra Santa sappiamo bene che la sola via per sopravvivere nel nostro amato paese è combattere l’odio e promuovere la pace, la sicurezza e la comprensione. La Terra Santa per i credenti dell’ebraismo, dell’islam e del cristianesimo deve essere una ragione per unirci gli uni agli altri, per impedire spargimenti di sangue, odio e contrasti. Cari amici, leader delle fedi, insegniamo ai nostri fedeli a fermare questo terribile crimine. Impariamo a vivere insieme, a rispettarci e a ripetere incessantemente le parole del profeta Malachia che ci ricorda come abbiamo tutti un solo padre”.
Mentre il cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti cattolici, ha descritto i ragazzi di piazza Tahir, protagonisti della rivoluzione che nel gennaio del 2011 ha portato alla caduta dell’ex presidente Hosni Mubarak: “Una giovane generazione, precedentemente lasciata da parte, che ha familiarità con i mezzi di comunicazione moderna e che costruisce in rete connessioni personali senza passare per la mediazione di partiti politici o religiosi. Sono credenti ma separano religione e politica. Sono loro ad aver scatenato la rivoluzione e rimangono tuttora la garanzia del perseguimento dei suoi fini iniziali: giustizia, libertà, dignità e lavoro”. Anche se il cardinale ha denunciato il sopravvento dei movimenti islamisti.
Invece Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia dei greco melkiti ha rifiutato la definizione di ‘primavera araba’: “Non siamo davanti a una rivoluzione ma a manifestazioni di piazza manipolate dall’esterno che hanno l’obiettivo di aggredire e creare confusione: il governo reagisce per difendersi… I cristiani non si sentono in pericolo, non c’è stata nessuna ostilità verso di loro, ma temiamo il caos che potrebbe nascere dal rovesciamento del governo in mancanza di una vera alternativa”.
Al termine di questo incontro ecumenico i partecipanti hanno sottolineato che “grande è la tentazione di ripiegarsi su se stessi e di utilizzare le religioni per separarsi… Ci vuole una svolta! La globalizzazione, che è una grande risorsa, ha bisogno di trovare un’anima. L’egoismo conduce ad una civiltà della morte e provoca anche la morte di tanti. Per questo, occorre guardare in alto, aprirsi al futuro e diventare capaci di globalizzare la giustizia. Dobbiamo, con forza, riproporre il problema della pace in tutte le sue dimensioni. Infatti siamo destinati a vivere insieme e tutti siamo responsabili dell’arte del convivere. Il dialogo si è rivelato oggi l’arma più intelligente e pacifica. E’ la risposta ai predicatori del terrore, che addirittura usano le parole delle religioni per diffondere odio e dividere il mondo. Niente è perduto con il dialogo”.
E l’ultimo atto di questo incontro è stata la visita dei leader religiosi al campo di concentramento di Dachau, dove nella baracca n. 28 erano stati rinchiusi i sacerdoti cattolici e i pastori protestanti che nelle chiese continuavano ad esprimere la loro contrarietà al regime nazista o che aiutavano ebrei e perseguitati a nascondersi. Dal 1933 al 1945, l’arco di tempo in cui il campo è stato in funzione, ne sono stati contati 2720, di 134 diocesi e 24 paesi. Il commento di mons. Pero Sudar, rilasciata all’agenzia Zenit, è il suggello ottimo a tale incontro, ricordando l’assedio di Sarajevo: “Il guaio della condizione umana è non poter imparare le cose fondamentali dall’esperienza degli altri: sia il bene che il male devono entrare nello spirito di ogni generazione”.