11 settembre dopo 10 anni: cosa è cambiato?

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Sono passati dieci anni da quell’11 settembre 2001 in cui 19 affiliati all’organizzazione terroristica di matrice islamica al-Qaeda dirottarono quattro voli civili commerciali. Due dei quali si andarono a schiantare contro le Torri Gemelli causando la morte di 2997 persone. Il luogo dove sono per lungo tempo rimasti i crateri dopo il crollo delle Twin Tower è ora sede di un memoriale, mentre a fianco sono in fase di ricostruzione alcuni nuovi grattacieli. Molte le iniziative per ricordare quel momento, ad iniziare da quelle politiche. Molto attivo anche l’associazionismo ‘pacifista’, secondo cui quell’atto tragico è stato segno di come l’Occidente ha inteso la parola ‘democrazia’. E la comunità di Sant’Egidio apre oggi il suo appuntamento a Monaco di Baviera con la cerimonia di apertura che ricorda le vittime dell’attentato. Comunque dopo 10 anni è subentrata l’idea che forse l’omologazione e la globalizzazione che l’Occidente ha sognato di esportare sono fallite ed i nostri Paesi stanno pagando con la crisi economica.


A livello politico Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso, presidenti del Consiglio e della Commissione UE, hanno riflettuto su questo tragico evento, che ha segnato nel profondo il corso della storia degli Stati Uniti, ed ha influenzato la percezione di sicurezza delle persone e dei popoli, oltreché le relazioni politiche ed economiche internazionali: “Promuovere il ruolo della legge, dei diritti umani e della governance democratica, aprire un dialogo interculturale, fornire opportunità economiche e di istruzione: questa è la migliore garanzia per rafforzare la sicurezza dei nostri cittadini e dei nostri partner internazionali. È trascorso un decennio dallo shock degli odiosi attacchi dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington Dc, in seguito ai quali persero la vita 2997 persone originarie di tutto il mondo. Oggi l’Europa onora le vittime ed esprime la propria solidarietà con coloro che hanno perso i propri cari a causa di questi e di tutti gli altri attacchi terroristici”.

E Cecilia Malmström, commissaria per gli affari interni dell’Unione Europea, ha letto quell’attentato alla luce degli avvenimenti che stanno avvenendo nei Paesi arabi del Mediterraneo: “A distanza di dieci anni dagli attentati negli Usa le piazze di Tunisi, del Cairo, di Bengasi e di tutto il mondo arabo hanno lanciato un potente segnale in favore della libertà e della democrazia. È questa la risposta più efficace allo stolto odio e al cieco fanatismo dei crimini dell’11 settembre”. Mentre il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale delle chiese (Wcc), organismo ecumenico che raccoglie 349 chiese protestanti, anglicane e ortodosse in rappresentanza di 560 milioni di cristiani in tutto il mondo, in un messaggio ha condannato il terrorismo in tutte le sue forme: “Quegli eventi dell’11 settembre 2001 e le conseguenze di quello che accadde dopo con le guerre in Afghanistan e in Iraq hanno profondamente segnato la prima decade del 21° secolo ed hanno lasciato in eredità dolore, sofferenza, disordine e inimicizia.  Dobbiamo ragionevolmente chiederci quale sia il modo migliore per rispondere e per evitare il ripetersi di tali traumi. Molti di noi sono convinti che la nonviolenza può essere la più utile risposta a lungo termine alla violenza e il mezzo più efficace verso una pace duratura basata sulla giustizia”.

Infatti quella data ha inciso anche nei luoghi, dove Al-Qaeda ha le sue radici, l’Afghanistan; così una elegazione della Tavola della pace e dell’associazione americana dei familiari delle vittime ‘Peaceful Tomorrows’ si è recata a Kabul raccogliendo un punto di vista inedito: quello dei familiari delle vittime della guerra e del terrorismo e quello della società civile afgana. Vincendo mille paure, resistenze, pressioni e preoccupazioni, otto esponenti della società civile italiana e americana sono stati per cinque giorni nella capitale afgana cercando di capire cosa c’è di vero oltre la propaganda e la disinformazione, i luoghi comuni e i pregiudizi. E’ stata la prima volta per una delegazione ufficiale di pacifisti occidentali.

Oltre a dare voce alle preoccupazioni e alle domande raccolte a Kabul e tracciare un bilancio dei 10 anni di guerra che stiamo conducendo in Afghanistan, i partecipanti hanno presentato alcune proposte precise: riaprire finalmente il dibattito pubblico sul futuro dell’impegno italiano in Afghanistan;  contribuire alla messa a punto di una strategia della comunità internazionale per l’Afghanistan e l’intera regione non più basata sul paradigma della ‘sicurezza militare’ ma quello della ‘sicurezza umana’; definire immediatamente il piano per il ritiro del contingente militare italiano; destinare almeno il 30% delle risorse risparmiate con il ritiro del contingente militare alla promozione della sicurezza umana in Afghanistan;  raccogliere la domanda pressante dei familiari delle vittime afgane della guerra e del terrorismo di riconoscimento, ascolto, giustizia, sostegno e risarcimento;  investire sulle organizzazioni democratiche della società civile afgana consentendogli di organizzarsi e rafforzarsi, promuovendo il loro riconoscimento politico a tutti i livelli; sollecitare una presenza non formale della società civile afgana e occidentale alla prossima Conferenza di Bonn; sostenere la Conferenza regionale di Istanbul e di promuovere lo sviluppo della cooperazione economica nell’intera regione.

Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, ha affermato: “Andiamo in Germania, nel cuore dell’Europa, per provare a chiudere un decennio della guerra, in cui è sembrato che lo scontro tra le civiltà fosse l’unica scelta, o un dato di fatto, o una necessità. L’incontro ha quest’anno una valenza particolare perché siamo a 10 anni dall’11 settembre, alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Germania e a 25 anni dal primo grande incontro mondiale interreligioso per la pace, voluto da Giovanni Paolo II ad Assisi. Gli ultimi 10 anni sono stati terribili: il bilancio è di 137.000 morti in Afghanistan, Pakistan e Iraq solo nella società civile, più tutte le vittime militari. In questi 10 anni, il dialogo è stato ridicolizzato, come se fosse una scelta ingenua, di marmellata in tempi duri mentre le società europee si stanno sempre più confrontando con il problema della convivenza”.  Inoltre la Comunità di Sant’Egidio realizzerà in questo giorno un collegamento con New York.

Ed il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano, ha sottolineato che: “Il vero epitaffio sul sogno criminale di un nuovo califfato, purificato a suon di stragi e sgozzamenti dai qaedisti e dai loro emuli, è stato posto da quelle rivoluzioni che proprio nel corso del 2011 hanno dato luogo alla ‘Pri­mavera Araba’, la più inattesa e sorprenden­te stagione politica che potevamo immagina­re. Sono state proprio le rivoluzioni arabe a to­gliere spazio a chi voleva che la declinazione politica dell’islamismo non potesse che esse­re radicale e violenta. Sono state le rivoluzio­ni arabe a conseguire quegli obiettivi che nes­suna strage jahadista era mai riuscita ad assi­curare: cambiare le leadership, rovesciare i re­gimi, ridare fiducia e protagonismo agli esclusi. Il loro successo ha anche riportato speranza alla possibilità che le società arabe e musul­mane possano conoscere una loro via    gra­duale, non lineare, talvolta contraddittoria ver­so la costruzione della democrazia”.

Infine Riccardo Cascioli, presidente del CESPAS (Centro Europeo di Studi su Popolazione, Ambiente e Sviluppo, ha sottolineato che “Ricordare l’insieme degli eventi di quel settembre 2001 ci aiuta a comprendere meglio anche le tensioni attuali che attraversano i paesi islamici, e che di quegli eventi sono figlie: la partita tra islamisti radicali e movimenti democratici è ancora tutta da giocare, e per questo i paesi occidentali sono chiamati a non dare ulteriori segnali di debolezza e sottomissione o a farsi promotori di interventi maldestri che diventano facilmente un boomerang”.

 

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