L’abbraccio del Papa ai bambini della Fabbrica della pace

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Quando la veste bianca del Papa fende la marea colorata, tra le note di We are the world, è mezzogiorno in punto. Lo aspettano 13 domande poste dai rappresentanti di 7.000 bambini delle scuole primarie di tutta Italia, che da oltre due ore stanno attendendo Francesco nell’Aula Paolo VI per l’appuntamento organizzato dalla “Fabbrica della Pace”. Per il Pontefice è la prosecuzione ideale dell’incontro, terminato poco prima, con il suo connazionale argentino, Adolfo Maria Perez Esquivel, Nobel per la Pace nel 1980. L’udienza può iniziare, ma non prima che gli studenti abbiano donato a Bergoglio un caschetto da operaio e un braccialetto bianco, che lo eleggono a simbolo del lavoro in fabbrica. “Ma la pace è un prodotto artigianale, non industriale”, ammonisce Francesco, che parla a braccio, lanciando l’ennesima stoccata a “quei potenti che non vogliono la pace, perché vivono delle guerre: è l’industria della morte e si guadagna”. Applausi e un brusio di sottofondo accompagnano il messaggio del Papa, seduto tra i bambini, che invoca le “fabbriche della pace, perché purtroppo quelle di guerra non mancano”, indicando l’obiettivo della terra promessa: una società senza ingiustizie e violenze. Una società che non deve prevedere “il carcere minorile, ma aiutare a rialzarsi”, sottolinea Bergoglio rispondendo alla domanda di un ragazzo detenuto a Casal di Marmo. “Non è la soluzione: è più facile mettere in galera che aiutare una persona che sbaglia a reinserirsi nella società: il carcere fa comodo, per dimenticare chi soffre. Vi do un consiglio – prosegue il Papa – quando vi dicono che ‘quello è in carcere’, dite a voi stessi: anche io posso fare gli stessi sbagli che ha fatto lui”. La comprensione e il perdono come basi su cui costruire un futuro che non emargini i disabili, termine respinto con fermezza dal pontefice. “A me – chiarisce – non piace dire che un bambino è disabile: casomai ha un’abilità differente, tutti abbiamo abilità. Tutti hanno la capacità di darci qualcosa e di fare qualcosa”. C’è il tempo per una domanda che lo tocca particolarmente e lo coinvolge in prima persona: “Ho nove anni e sento parlare sempre della pace: cos’è la pace? – chiede un ragazzo in sedia a rotelle – Io andrò a Lourdes: perché non guidi tu il treno Unitalsi, così non arriviamo in ritardo?”. E per un quesito che ammutolisce tutti, grandi e piccoli: “Un giorno saremo tutti uguali?”. “Tutti lo siamo – le parole di Francesco – ma non ci riconoscono questa verità, questa uguaglianza. Tutti abbiamo gli stessi diritti e quando non si vede questo la società è ingiusta: e dove non c’è la giustizia non può esserci pace”. Un’ora passa in fretta, è il tempo del congedo, tra musiche e balli, sorrisi ed emozioni, ma con una promessa che può tradursi in realtà: ripetere l’esperienza anche l’anno prossimo, per esortare tutti “a diffondere la cultura dell’inclusione, della riconciliazione dell’incontro”. La fabbrica della pace non chiude.

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