Ancona: l’Eucarestia pane del cammino

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“Da oltre mezzo secolo, ogni giorno, da quel 2 novembre 1946 in cui celebrai la mia prima Messa nella cripta di San Leonardo nella cattedrale del Wawel a Cracovia, i miei occhi si sono raccolti sull’ostia e sul calice in cui il tempo e lo spazio si sono in qualche modo ‘contratti’ e il dramma del Golgota si è ripresentato al vivo, svelando la sua misteriosa ‘contemporaneità’. Ogni giorno la mia fede ha potuto riconoscere nel pane e nel vino consacrati il divino Viandante che un giorno si mise a fianco dei due discepoli di Emmaus per aprire loro gli occhi alla luce e il cuore alla speranza”. E’ un passo dell’enciclica di papa Giovanni Paolo II risuonato in questa giornata dedicata alla ‘tradizione’ della Chiesa: confraternite, comunità e sacerdoti nel giorno della Natività della Beata Vergine Maria, tanto caro a papa Paolo VI.

 

 

L’arcivescovo di Chieti, mons. Bruno Forte, leggendo questo brano dell’enciclica ‘Ecclesia de Eucharestia’, scritta nel 2003 da papa Giovanni Paolo II in cui rammenta la sua prima messa, ha ricordato: “esse ci indicano come e dove egli abbia imparato a usare i suoi occhi per vedere l’invisibile, a far battere il suo cuore all’unisono con quello dell’amore divino, a fare della sua bocca veicolo di verità, a usare le sue mani per compiere opere di pace e a muovere i suoi piedi per portare dovunque la buona notizia, fino agli estremi confini della terra. In queste poche parole, la celebrazione eucaristica è insomma presentata come la fonte e il culmine dell’intera esistenza di un uomo totalmente consacrato a Dio, capace di fare della sua stessa vita la liturgia di una continua consacrazione del mondo all’Eterno e alla Sua bellezza”.

Nel ricordare l’Eucarestia come ‘memoriale pasquale’ mons. Forte ha sottolineato il valore della dimensione contemplativa della vita: “Nell’eucaristia la Chiesa celebra così la memoria potente della sua origine, dell’iniziativa trinitaria dell’amore, che l’ha posta nel tempo come segno e strumento di unità per tutto il genere umano. L’eucaristia si configura perciò come la parabola viva dell’intera storia della salvezza, e perciò della donazione mediante cui il Tutto divino si offre nel frammento del tempo e la bellezza eterna si ‘abbrevia’ per donarsi al mondo. Vivere pienamente il memoriale eucaristico significa allora fare dell’incontro col Signore Gesù la sorgente della bellezza di tutta la vita, specialmente della vita consacrata… Nel memoriale eucaristico la Chiesa nasce dunque come popolo servo, comunità di servizio: a partire dall’eucaristia la condizione del cristiano, e del consacrato in modo peculiare, appare veramente caratterizzata dalla vocazione al servizio e al dono di sé fino alla fine, in cui si attualizza la bellezza dell’ ‘agape’ crocifissa del Pastore bello, che dona la vita per le sue pecore. Celebrare la Cena del Signore vuol dire specialmente per la persona consacrata impegnare la propria esistenza perché lo spirito di donazione e di servizio cresca in tutta la comunità ecclesiale, irradiando con la vita e specialmente con la carità la bellezza del Cristo”.

Quindi la croce è trasformata da Cristo da modello di sofferenza e condanna a modello di banchetto: “Già sul piano dei segni il pane della Cena è il pane della fraternità, come il calice di vino esprime la condivisione della stessa sorte: nella tradizione ebraica la comunità conviviale è comunione di vita, e il calice è l’immagine della sorte dolorosa di un uomo. La frazione del pane, con la distribuzione di un pezzetto a ciascuno, e la partecipazione allo stesso calice di vino sono segno di una profonda solidarietà nella comunanza di sorte. Gesù lega così esplicitamente l’istituzione dell’eucaristia al banchetto della fraternità: Egli non sceglie come segno del suo dono sacrificale un pane e un vino qualunque, ma il pane e il calice della fraternità e della condivisione. Il memoriale pasquale risulta ecclesiale nel suo stesso segno e per suo mezzo. Ne consegue che la celebrazione della memoria del Signore esige e fonda la comunione dei convitati a Cristo e fra di loro: la comunione ai santi doni (“communio sanctorum” nel senso del genitivo plurale neutro) produce la comunione dei santi (“communio sanctorum” nel senso del genitivo plurale personale). L’esistenza redenta è nella comunione e per la comunione, comunionale nella sua stessa vocazione e missione”.

Quindi nel ‘banchetto eucaristico’ ‘il non ancora’ della promessa di Dio si fa presenza viva: “La santità del battezzato, nutrita dall’eucaristia e vissuta nell’amore a Cristo e al prossimo, è la forma più luminosa e irradiante del suo annuncio delle cose venienti e nuove, anticipate e promesse nel memoriale pasquale del Signore: e questo in modo singolare nell’esistenza di chi, come il consacrato, si fa con tutta la sua vita sentinella del futuro promesso da Dio”. Mentre nella sua relazione Marco Vergottini, docente di teologia alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, è partito dalla confessione di Pietro: “La confessione che l’apostolo Pietro rivolge a Gesù a conclusione del discorso sulla Parola e il Pane di vita, “Signore, da chi andremo?” (Gv 6) è l’icona biblica scelta dal Congresso eucaristico. La Chiesa italiana è invitata a porsi di fronte al mistero che la genera, riscoprendo e custodendo la centralità dell’eucaristia, ‘culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù’ (Sacrosanctum Concilium 10), così da riprendere con rinnovato vigore e slancio la sua missione. L’ambito della tradizione invita in particolare a riflettere in qual modo l’eucaristia sostiene il dinamismo della vita cristiana, sia come sguardo sulla persona umana e le sue relazioni sia come testimonianza.

Il Cristo che si dona per amore, presente nel pane eucaristico, è per il cristiano punto di riferimento imprescindibile per quella vita buona del Vangelo, nella quale ogni uomo ed ogni donna può trovare la più profonda realizzazione della sua umanità. Il testo giovanneo rivela che Gesù è pane disceso dal cielo per la vita, secondo una doppia modalità: come pane eucaristico, ma anche come pane della parola di Dio. Nella celebrazione eucaristica le due forme di presenza del Signore, Parola e pane, prendono la forma di un’unica mensa, s’intrecciano e si sostengono mutuamente”. Quindi Vergottini ha spiegato l’Eucarestia in senso antropologico, affinché si abbia la vita in abbondanza: “Nella relazione familiare c’è un aspetto strutturale, ci sono aspettative reciproche che derivano non da uno scambio economico, ma dal legame religioso tra i soggetti. Da un punto di vista etimologico, il concetto di religio rinvia al latino ‘religere’, che dice l’atto dell’aver cura, del portare riguardo, come pure al verbo ‘religare’, che indica l’atto di tenere unito, collegare il visibile con l’invisibile. Dalle due radici scaturisce il prendersi cura dell’altro, nonché l’intreccio fra il senso del vivere umano e quello della esistenza cristiana.

Sotto questo profilo, ‘l’educazione è tutta religiosa, oppure non è’. Nella dinamica dei rapporti familiari c’è qualcosa che va oltre il mutuo scambio: l’uomo e la donna portano con sé qualcosa, sono latori di un patrimonio culturale che dice l’incontro fra due mondi o, meglio, fra due storie, da cui non si può prescindere. La generazione del figlio lascia emergere la dimensione di un terzo, sì frutto dell’amore vicendevole, ma ancor più dono gratuito e preveniente. Il figlio è generato dalla volontà dei genitori, ma essi chiamandolo alla vita non possono disporre della sua libertà”. Quindi, la Chiesa, attraverso la tradizione, educa i suoi fedeli ad abitare il mondo: “Per quanto i van­geli mantengano un forte riserbo sui momenti iniziali della vita del Signore, la coscienza credente coltiva una forte consapevolezza del segreto della casa di Nazaret, così da meditare in qual modo Maria e Giuseppe si siano prodigati per rendere favorevole il mondo al bambino Gesù, insegnandogli  a muovere i primi passi, abituandolo a fidarsi dell’ambiente domestico, propiziando nel figlio un’immagine di casa e di mondo come ambienti amichevoli, affidabili, attendibili… Emerge l’esigenza di una nuova capacità di annuncio per presentare in modo positivo ed esistenzialmente ricco la vita cristiana, in una società non più segnata da un cristianesimo civile, che dunque sollecita nei credenti una adesione convinta e personale al mistero della fede. Non può allora essere tralasciato il valore dell’impegno culturale in senso cristiano come ambito in cui la comunità dialoga con il mondo e fa emergere l’apporto proprio ed arricchente della fede alla concezione della persona e alla scienza.

La buona novella dell’incontro del Regno, unitamente al dono di nutrirsi dell’eucaristia “pane del cammino”, donano una grande letizia, riorientano la vita, consentendo di affidarsi incondizionatamente alla logica di Dio e di colui che ce ne ha svelato il vero volto”.  Il salesiano don Giuseppe Ruta ha lanciato uno sguardo sulla validità e vitalità delle Confraternite come luogo ‘eucaristico: “Le aggregazioni e le confraternite, in quanto espressioni ecclesiali, sono “luogo” in quanto spazio interpersonale, tessuto di rapporti, intreccio di comunione, missione e servizio; in esse vige un’originale vitalità della fede cristiana con delle costanti che le accomunano e delle variabili che le distinguono l’una dall’altra, caratterizzandole ‘originalmente’. Quando si dice ‘luogo vitale’ non si intende primariamente mettere in evidenza il fattore quantitativo o di sopravvivenza numerica, ma soprattutto la qualità della vita, la possibilità concreta della salvezza che ivi si realizza, il benessere che vige nelle relazioni e nelle azioni, la capacità di generare e di trasmettere vitalmente agli altri, specialmente alle nuove generazioni, l’esperienza di fede ecclesiale che caratterizza tutte e ciascuna…

Tutte le Confraternite, e non solo quelle esplicitamente intitolate all’Eucaristia o al SS. Sacramento, hanno un legame con il Mistero Eucaristico o sono chiamate a riscoprirlo sempre di più. Esse sono ‘luogo vivo di una tradizione o meglio della tradizione eucaristica”. Il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha ribadito il valore dell’Eucarestia: “L’Eucaristia ci deifica e rende la nostra vita offerta gradita a Dio. Per questo, essa è innanzitutto un rendimento di grazie per il dono ricevuto e donato. Come ministri del rendimento di grazie, noi sacerdoti dobbiamo sentire la gioia, mentre spezziamo il pane, di distribuire anche il grazie a tutti i nostri fratelli e sorelle, soprattutto in questo tempo fatto di pretese e di illusioni, che produce solo pessimismo e ha perso il sorriso e la gioia. E’ l’Eucaristia che si fa opera di carità e nutre soprattutto quanti hanno fame e sete di amore e di solidarietà. E’ l’Eucaristia che diventa vita quotidiana per il ministero e la vita dei sacerdoti”.

Nella celebrazione eucaristica pomeridiana, mons. Piero Marini, ha ricordato questa festività tanto importante, quanto abbastanza trascurata dai cristiani: “Nel vangelo abbiamo ascoltato la genealogia e l’annuncio dell’angelo: ‘Maria darà alla luce un figlio, che sarà chiamato Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati’ (cf. Mt 1,20-21). Con gli occhi del cuore illuminati dalla fede siamo oggi chiamati a comprendere che il corpo che ha preso carne in Maria è il corpo che Gesù stesso ha donato per la salvezza dell’intera umanità. La vita di Gesù Cristo, vita che compie in sé la storia di Israele e di tutta l’umanità, è la vita che egli ha donato puntualmente sulla croce; è la vita riassunta nei santi segni del pane e del vino… Non dimentichiamo però che il Corpo di Cristo che accompagniamo in processione è il Corpo di Cristo che riceviamo nella comunione, che è dentro di noi. Ricordiamo che Maria nell’Annunciazione con il suo ‘Fiat’ ha dato un corpo al Figlio di Dio. Ricordiamo che anche noi rispondiamo ‘Amen’, ‘Fiat’, al momento della comunione e ci impegniamo a diventare noi stessi Corpo di Cristo”.

E nel convegno di ‘Retinopera’, ospitato all’interno del Congresso Eucaristico, c’è stata la testimonianza del custode di Terra Santa, mons. Pierbattista Pizzaballa: “’La grande novità in tutti i Paesi del Medio Oriente è rappresentata da un fermento civile e sociale che fa da contraltare a una debolezza delle leadership non solo politica ma anche religiosa. In Terra Santa sta emergendo una capacità dei palestinesi di passare, ad eccezione di cellule violente fuori controllo, a una forma di lotta non violenta sempre più presente… Il futuro è tutto da costruire, questa è una fase di grande incertezza ma anche di fascino”.

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