Al Congresso Eucaristico il confronto con la fragilità
Il Congresso Eucaristico nazionale ha coniugato, martedì 6 settembre, l’ambito della fragilità umana, in cui l’Eucarestia realizza la Sua presenza di misericordia, che è sempre un segno reale della presenza della Chiesa per aiutare le debolezze degli uomini. E come segno concreto mons. Menichelli e il card. Re hanno inaugurato ad Ancona il Centro Caritativo ‘Beato Gabriele Ferretti’. Questo Centro Caritativo nasce dall’esigenza di continuare l’esperienza di accoglienza e apertura alla persona che in vario modo è effettuata, con il coordinamento della Caritas Diocesana, nelle realtà ecclesiali del territorio dell’ Arcidiocesi di Ancona-Osimo; vuole essere un segno per stimolare uomini e donne a mettersi in atteggiamento di incontro e attenzione nei confronti di chi soffre, di chi è rimasto solo, di chi ha smarrito la strada.
Inoltre dieci giovani presenti a Madrid hanno portato la Croce della GMG nella Casa Circondariale di Montacuto. In mattinata l’Arcivescovo Menichelli ha visitato i bambini ricoverati all’Ospedale Salesi. Questi gesti di attenzione al prossimo hanno voluto rappresentare un momento di condivisione nell’ottica della comunione, del pane spezzato per tutti, del pane condiviso con tutti nella solidarietà e nella giustizia.
Nella lectio divina mattutina il biblista Giancarlo Bruni ha parlato dell’accoglienza, commentando il brano evangelico di Giovanni (6, 25-30): “Siamo al cospetto di insegnamenti che ci riguardano molto da vicino: la parola risveglia la coscienza al coraggio di reintrodurci in cammini caratterizzati da ricerche decisive, il ridiscendere nel segreto della propria cella interiore, il cuore, a individuarvi quali fami e quali seti lo abitano, e quali domande. E ancora a individuarvi chi lo abita e quale spazio ha trovato in noi la sua presenza e quale accoglienza il suo dono… E la vita si dischiude a orizzonti di altissimo senso: divenire pane, acqua, olio e vino per le innumerevoli fami, seti, ferite e tristezze dell’uomo. Gli affamati di senso incontrati dal Pane che dà senso diventano pane donato alla tavola della vita trovando in questo senso pieno”.
Negli incontri sul tema della fragilità mons. Vinicio Albanesi, responsabile della Comunità di Capodarco di Fermo, è partito dalla Creazione: “La creatura umana, originata da Dio e simile a lui, è chiamata a continuare nel tempo la creazione”. Ma nel tempo l’uomo ha scoperto il peccato ed ha atteso Cristo per esserne redento: “Un unico amore dimostrato dal Padre nella creazione e riportato a salvezza con Cristo. La dimensione sacramentale rispecchia la stessa dinamica. Ai sacramenti di salvezza spirituale sono uniti quelli di salvezza anche fisica (matrimonio, unzione dei malati), in unità di spirito e di corpo. La seconda caratteristica dell’azione di Cristo è il passaggio della croce. Per ritornare allo splendore della creazione, la redenzione paga il prezzo al peccato, inteso sia come offesa a Dio, sia corre espressione del limite e della morte. Non esiste offerta di redenzione gratuita: il peccato, la malattia, la morte hanno bisogno di riscatto, passaggio ineludibile per tornare allo splendore.
Per analogia, la salvezza spirituale e materiale ha bisogno rispettivamente della purificazione prodotta dalle virtù e dal sacrificio di accoglienza personale e collettiva. L’ascetica cristiana non ha le caratteristiche della prassi stoica, come l’azione di carità non è sorella della solidarietà. L’obiettivo è la comunione con Dio, che esige amore nel senso più alto del termine: superamento della condizione umana per entrare in comunione con Dio, origine e fonte di ogni bene. La resurrezione del Signore è il segno di vittoria sul peccato e la morte”. In questo consiste la consolazione cristiana della glorificazione in Cristo: “Dio Padre porterà a compimento l’azione creatrice e redentrice e soprattutto renderà onore alla vita umana. Pur essendo limitata nel tempo e nello spazio, la onorerà della dimensione eterna. Aver partecipato a questa grandiosa opera non può che consolarci: tutta la vicenda umana è così trasformata per rispondere a quella ‘somiglianza’ a Dio, con cui era iniziata ad esistere”.
Il prof. Ivo Lizzola, pedagogista all’università di Bergamo, ha parlato dell’esperienza umana della cura, attraverso alcune immagini: “Tra gli esiti più delicati e importanti dei programmi della medicina contemporanea c’è il nuovo peso che la malattia ha assunto nella vita dei singoli e nelle relazioni che tessono la convivenza, a partire dalle relazioni familiari. In questi ultimi anni le reti familiari e di prossimità sono sollecitate a ri-farsi carico di manifestazioni di patologie, si pensi al disagio psichico, di attese di diagnosi e interventi, di post degenze, di periodi di riabilitazione, di un riequilibrio ricovero-domiciliarità con un più marcato peso su quest’ultima. La cura, e la terapia, la palliazione, tornano ad essere assunte dai contesti familiari, divenuti spesso più fragili e isolati, in un clima culturale nel quale l’esperienza umana della malattia ha cambiato forma, collocazione e significati nella storia delle donne e degli uomini.
In questi ultimi decenni le modalità della comunicazione e le rappresentazioni dell’immaginario diffuso della malattia sono andate modificandosi velocemente, rivelando la forte tensione tra voglia di rimozione e bisogno di elaborazione che attraversa le persone”. Ed è proprio nella relazione di cura che la Parola “può entrare dove i saperi e i poteri non entrano: entra nella notte della prova, nello sperdimento; e nella fragilità, nella semplicità, nell’amicizia. La Parola è decentrante, è amante, è legata alla misteriosità feconda del silenzio, cerca l’innocenza, ha pudore, e nostalgia. E’ Parola che scende, che di nuovo si piega, si curva sulla vita, sulla storia di uomini e donne: non argomenta, non prova a spiegare, a dimostrare. Parola che con pietas straordinaria entra nelle pieghe dell’ordinario quotidiano e svela ciò che può essere luce, che rende leggibile l’esperienza umana, anche la più contaminata”.
La prof.ssa Maria Grazia Marciani, docente all’Università ‘Tor Vergata’ di Roma, ha affermato che “la sofferenza viene vissuta dalla persona come minaccia per la propria serenità, integrità o per la realizzazione delle proprie aspettative, dando origine ad una situazione di angoscia. Il dolore, qualunque sia la sua origine, corpo, psiche, relazioni, anima, è sempre sofferenza della persona”. Quindi l’uomo ha bisogno di aiuto e l’Eucarestia, secondo la professoressa, offre questo aiuto: “Il compito del sofferente e del suo guaritore sarà quello di riconoscere e accogliere l’azione salvifica di Cristo che, partecipando la nostra sofferenza la vive in lui, e rivive la sua in noi, suo corpo mistico.
L’Eucaristia, presenza reale e misericordiosa di Cristo, è il Pharmakon di salvezza, nella sua duplice realtà di significato essendo sia la vittima sacrificata sia il pane che guarisce. Il medico, da guaritore ferito ma riconciliato, sentirà imperativa l’esigenza di prendersi cura della persona sofferente e non di curare la sola malattia, consapevole di essere testimone credibile del cammino della Croce fonte della guarigione dell’uomo. La stessa Croce che è anche simbolo di speranza”. L’ex presidente di Azione Cattolica, Paola Bignardi, ha ricordato l’ultimo pellegrinaggio, compiuto da papa Giovanni Paolo II, ormai malato, sette anni fa a Loreto proprio con l’Azione Cattolica: “Ricordiamo tutti quell’Eucaristia celebrata senza fiato, la sofferenza di ogni parola e ogni gesto, lo sforzo di ogni incontro. Anche da malato, Giovanni Paolo II è stato fedele fino alla fine alla missione che il Signore gli aveva affidato, insegnandoci come si attraversa la malattia continuando a vivere, come si muore vivendo”.
In seguito ha testimoniato la sua malattia: “Nei giorni della malattia l’Eucaristia è stata parola di vita eterna, non presenza di consolazione, ma di condivisione: al di là di ogni parola, il Signore c’era, si era fatto povero e impotente come me. L’Eucaristia è stata la forza che, giorno per giorno, mi ha aiutato a non smettere di credere nell’amore e nella bontà della vita. L’Eucaristia è un pane che non si può conservare, ma che ci aiuta a credere che ogni giorni si avrà pane per vivere, anche in situazioni che sembrano annientare la nostra umanità. Gesù non ha amato il dolore, lo ha affrontato per obbedire a un disegno di amore, che è veramente più forte della morte. La malattia mi ha cambiato perché mi ha dato un altro punto di vista sulla vita: dal fronte dell’impotenza, della morte, le cose che contano cambiano, gli affetti sembrano più gratuiti. La malattia è una strada per scoprire dimensioni altre: la profondità, la gratuità, la forza che c’è nella debolezza…
La malattia mi ha insegnato che il valore della vita non sta in quello che facciamo, ma nell’amore di cui i gesti più semplici sono carichi. La vita non consiste in quello che riusciamo a realizzare, ma nel dono che facciamo di essa… Ho sempre rifiutato di pensare che il Signore mi volesse bene perché mi faceva soffrire; ho capito, giorno dopo giorno, dentro la convinzione dell’assurdo del dolore che il Signore mi voleva bene perché aveva accettato di condividere un dolore nel quale c’era anche il mio”.
Nella celebrazione eucaristica pomeridiana il card. Dionigi Tettamanzi ha sottolineato che: “nella fragilità della sottile ostia consacrata, segno della pochezza di ciò che l’uomo può offrire da se stesso a Dio, si nasconde la potente forza della Misericordia del Signore: l’abbraccio tenerissimo del Crocifisso risorto”, in quanto “l’Eucaristia è la via che Dio ci offre per vincere l’isolamento e l’emarginazione cui l’individualismo esasperato di alcune forme della cultura attuale sembra avere consegnato non solo coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, ma anche quanti si prodigano per una nuova concezione della cura e dell’assistenza ai malati, ai disabili, agli anziani e ai morenti, una concezione che metta al centro la persona nel mistero sempre eccedente che abita la sua umanità”.
Concludendo l’omelia il cardinale di Milano ha ricordato l’esempio di Madre Teresa di Calcutta: “Interrogata su dove trovassero le sue figlie quotidiana ed eroica forza per chinarsi sui moribondi piagati, abbandonati nelle strade di Calcutta, Madre Teresa rispose: Esse amano Gesù e trasformano in azione questo loro amore”. Nella serata si è svolta nelle strade di Ancona la ‘Via Crucis’: “Ma Tu vuoi che ogni giorno sia il giorno del Signore, il giorno della nostra risurrezione. A ciascuno di noi tu dici: Non temere! nessuna pietra potrà sigillare per sempre la tua prigione di morte. Io verrò, aprirò il tuo sepolcro, ti prenderò per mano, ti richiamerò alla vita, sarò la tua vita se tu lo vuoi. Il tuo pane quotidiano.
Ed il Congresso Eucaristico ospita mercoledì 7 settembre il regista Pupi Avati, che dialogherà con il pubblico sul suo ultimo film ‘Una sconfinata giovinezza’, opera intensa che esplora i territori dell’amore coniugale, della malattia, della dedizione.