Gli zingari sono italiani
Nei giorni scorsi l’Associazione ‘21 luglio’ ha presentato il ‘Rapporto Annuale 2014’, il primo rapporto nazionale sulla condizione dei rom e dei sinti in Italia che indaga sull’anno passato per individuare la trama che ha intessuto le politiche attuate nel nostro Paese nei confronti di tali comunità. Dal rapporto emerge che in Italia vivono circa 180.000 rom e sinti, che rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale.
Il 50% di essi ha la cittadinanza italiana e 4 rom e sinti su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente nel nostro Paese. La loro quotidianità, tuttavia, resta quasi sempre sconosciuta agli occhi della pubblica opinione, mentre più visibili, nelle cronache dei giornali e dei commenti degli esponenti politici, sono le circa 40.000 persone che vivono nei cosiddetti ‘campi’, praticamente 1 rom su 5 sul totale dei presenti in Italia.
Se puntiamo la lente sul 2014, in relazione ai rom e ai sinti che in Italia vivono in emergenza abitativa, dal Rapporto emerge che il varo della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti e il cambio di direzione da essa paventato non hanno significato un sostanziale mutamento delle loro condizioni di vita.
L’approccio emergenziale, che nei propositi doveva essere definitivamente abbandonato, ha rappresentato il leitmotiv di ogni azione pubblica e si è andato declinando nei dodici mesi considerati in numerose azioni di sgombero forzato (più di 230 nelle città di Roma e Milano) e nella ideazione e progettazione di nuovi ‘campi nomadi’. La questione abitativa resta centrale nelle politiche che le Amministrazioni locali organizzano nei confronti dei rom e dei sinti.
Malgrado i proclami e le buone intenzioni, negli ultimi tre anni sono stati costruiti nuovi insediamenti a Roma, Milano, Giugliano, Carpi e in diverse città italiane del centro-sud, da Latina a Lecce, sino a Cosenza, sono in discussione avanzata progetti relativi alla costruzione di nuovi insediamenti per finanziamenti che superano € 20.000.000.
Nella maggioranza dei ‘campi nomadi’ italiani, anche quelli organizzati e gestiti dalle autorità, sono molteplici gli elementi di criticità che, da Torino a Palermo, passando per Roma e Napoli, sono stati riscontrati e che li hanno resi luoghi di sospensione dei diritti umani. Sulla politica abitativa occorre considerare che dal 2000 l’Italia è stata definita il ‘Paese dei campi’.
In questi anni la politica segregante volta a gestire e mantenere un sistema abitativo parallelo per soli rom, ovvero su base etnica, con condizioni al di sotto degli standard ha attirato l’attenzione e collezionato condanne da parte di numerosi enti di monitoraggio, internazionali ed europei, e organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani.
Infatti sono innumerevoli le raccomandazioni formulate nei confronti dell’Italia che richiedono la desegregazione abitativa dei rom el’adozione di politiche effettivamente inclusive, così come la stessa Strategia Nazionale ne prescrive il definitivo superamento. Tali politiche, fondate sul facile ma totalmente errato assunto che rom e sinti siano ‘nomadi’ per definizione, hanno comportato voci di spesa elevatissime, non giustificate dai risultati raggiunti, senza far registrare alcun miglioramento nelle condizioni di vita né nell’inserimento nel tessuto sociale di rom e sinti, ma ne hanno anzi sistematicamente violato i diritti umani, risultando inaccettabili e insostenibili sia dal punto di vista sociale che economico.
Nonostante gli ambiti in cui un intervento risulta urgente e necessario non si limitino alla questione abitativa, la desegregazione abitativa e il pieno godimento del diritto a un alloggio adeguato risulta, alla luce delle forti e numerose interrelazioni esistenti, una fondamentale precondizione per l’effettivo godimento di numerosi altri diritti umani. Le politiche abitative predisposte dalle istituzioni per le comunità rom e sinte in precarietà abitativa, non contemplano né il diritto al gioco, né tantomeno le attività ricreative, artistiche e culturali, elementi fondamentali per un sano sviluppo intellettivo, affettivo, cognitivo e relazionale dei minori.
Quindi l’abbandono scolastico e la frequenza scolastica discontinua da parte dei minori rom sono un elemento che risalta anche per l’anno scolastico 2013-2014 dove sono stati 11.657 i minori rom e sinti in emergenza abitativa presenti nel sistema scolastico italiano. Confrontando i dati 2012/2013 con i dati 2013/2014 si conferma l’elevata dispersione scolastica, con un tasso di abbandono di oltre il 50% nel passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria e di circa il 95% da quella secondaria di primo grado a quella di secondo.
Diverse sono le ragioni di questi fenomeni emerse dall’attività di ricerca dell’Associazione 21 luglio: tra queste si possono citare l’esistenza di stereotipi e pregiudizi negativi profondamente radicati nell’immaginario collettivo e la condizione di precarietà abitativa. Come ammesso anche da alcuni operatori scolastici, i bambini rom si trovano a subire un trattamento differenziale rispetto ai loro compagni di scuola, spesso anche a causa della presenza radicata di pregiudizi e stereotipi, che si concretizza per esempio nell’essere chiamati a svolgere durante l’orario scolastico attività diverse rispetto agli altri alunni.
Inoltre, è evidente che la precarietà e l’inadeguatezza dell’alloggio hanno evidenti conseguenze sulla possibilità dei minori di dedicarsi proficuamente allo studio e, in alcuni casi, di curare la propria igiene personale, incidendo negativamente sul loro rendimento e sulle loro relazioni sociali. L’ubicazione degli insediamenti formali in luoghi al di fuori del tessuto urbano e distanti dagli istituti scolastici, rappresenta inoltre un ostacolo importante per l’accesso effettivo all’istruzione per gli alunni rom.
Perciò un ‘figlio del campo’ avrà possibilità prossime allo zero di accedere a un percorso universitario, mentre le possibilità di frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%. In 1 caso su 5 non inizierà mai il percorso scolastico. Soprattutto in tenera età avrà fino a 60 volte la probabilità, rispetto a un suo coetaneo non rom, di essere segnalato dal Servizio Sociale e di entrare in contatto con il sistema italiano di protezione dei minori. La sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia.