La Chiesa ama i gitani: c’è pure un santo!
Mercoledì 8 aprile nel mondo si è celebrata la giornata internazionale dei Rom e dei Sinti, istituita in ricordo dell’8 aprile del 1971, quando a Londra si riunì il primo Congresso internazionale del popolo Rom e si costituì la Romani Union, la prima associazione mondiale dei Rom riconosciuta dall’ONU nel 1979.
Il magistero della Chiesa è sempre stato accogliente nei loro confronti da quando, 50 anni fa (il 26 settembre 1965) il papa beato Paolo VI incontrò i Rom a Pomezia, facendoli sentire figli di Dio: “Comprendete, nomadi carissimi, il significato di questo incontro. Qui trovate un posto, una stazione, un bivacco, differente dagli accampamenti, dove di solito fanno tappa le vostre carovane: dovunque voi vi fermiate, voi siede considerati importuni e estranei; e restate timidi e timorosi; qui no; qui siete bene accolti, qui siete attesi, salutati, festeggiati.
Vi capita mai questa fortuna? Qui fate un’esperienza nuova: trovate qualcuno che vi vuole bene, vi stima, vi apprezza, vi assiste. Siete mai stati salutati, durante le vostre interminabili escursioni, come fratelli? Come figli? Come cittadini eguali agli altri? Anzi come membri d’una società che non vi respinge, ma che vi accoglie, vi cura e vi onora? Che cosa significa questa novità? Dove siete arrivati?..
E’ qui, nella Chiesa, che voi vi accorgete d’essere non solo soci, colleghi, amici, ma fratelli; e non solo fra voi e con noi, che oggi come fratelli vi accogliamo, ma, per un certo verso, quello cristiano, fratelli con tutti gli uomini; ed è qui, nella Chiesa, che vi sentite chiamare famiglia di Dio, che conferisce ai suoi membri una dignità senza confronti, e che tutti li abilita ad essere uomini nel senso più alto e più pieno; ed essere saggi, virtuosi, onesti e buoni; cristiani in una parola”.
Dopo Paolo VI, san Giovanni Paolo II, incontrò in numerose occasioni popolazioni, delegati e rappresentanti dei Rom e Zingari e il 4 maggio 1997 beatificò il primo beato rom della Chiesa Cattolica, Ceferino Giménez Malla: “Sempre a Barbastro lo zingaro Ceferino Giménez Malla conosciuto come ‘El Pelé’ morì per la fede in cui era vissuto.
La sua vita dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore. El Pelé fu generoso e accogliente con i poveri, pur essendo lui stesso povero, onesto nella sua attività, fedele al suo popolo e alla sua razza ‘gitana’, dotato di un’intelligenza naturale straordinaria e del dono del consiglio. Fu soprattutto un uomo di profonde credenze religiose.
La frequente partecipazione alla Santa Messa, la devozione alla Vergine Maria con la recita del rosario, l’appartenenza a diverse associazioni cattoliche lo aiutarono ad amare Dio e il prossimo con interezza. Così, anche a rischio della propria vita, non esitò a difendere un sacerdote che stava per essere arrestato, per la qual cosa lo condussero in prigione, dove non abbandonò mai la preghiera e quando fu fucilato stringeva fra le sue mani il rosario”.
Anche papa Benedetto XVI ha incontrato, l’11 giugno 2011, nell’auditorium ‘Paolo VI’, i rappresentanti di diverse etnie Zingari e Rom: “Siete giunti a Roma da ogni parte d’Europa per manifestare la vostra fede e il vostro amore per Cristo, per la Chiesa, che è una casa per tutti voi, e per il Papa… Anche a voi è giunto il messaggio di salvezza, a cui avete risposto con fede e speranza, arricchendo la comunità ecclesiale di credenti laici, sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi zingari.
Il vostro popolo ha dato alla Chiesa il beato Zefirino Giménez Malla, di cui celebriamo il centocinquantesimo anniversario della nascita e il settantacinquesimo del martirio… La vostra storia è complessa e, in alcuni periodi, dolorosa. Siete un popolo che nei secoli passati non ha vissuto ideologie nazionaliste, non ha aspirato a possedere una terra o a dominare altre genti. Siete rimasti senza patria e avete considerato idealmente l’intero Continente come la vostra casa.
Tuttavia, persistono problemi gravi e preoccupanti, come i rapporti spesso difficili con le società nelle quali vivete. Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio”.
Ed infine recentemente papa Francesco ha incontrato, il 5 giugno dello scorso anno, nella Sala Clementina i rappresentanti di popolazioni gitane di 26 Paesi accompagnate dai responsabili della loro pastorale partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti:
“Spesso gli zingari si trovano ai margini della società, e a volte sono visti con ostilità e sospetto (io ricordo tante volte, qui a Roma, quando salivano sul bus alcuni zingari, l’autista diceva: ‘Attenti ai portafogli’! Questo è disprezzo. Forse sarà vero, ma è disprezzo…) ; sono scarsamente coinvolti nelle dinamiche politiche, economiche e sociali del territorio.
Sappiamo che è una realtà complessa, ma certo anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune, e questo è possibile con adeguati itinerari di corresponsabilità, nell’osservanza dei doveri e nella promozione dei diritti di ciascuno… Gli zingari sono tra i più vulnerabili, soprattutto quando mancano gli aiuti per l’integrazione e la promozione della persona nelle varie dimensioni del vivere civile.
Qui si innesta la sollecitudine della Chiesa e il vostro specifico contributo. Il Vangelo, infatti, è annuncio di gioia per tutti e in modo speciale per i più deboli e gli emarginati. Ad essi siamo chiamati ad assicurare la nostra vicinanza e la nostra solidarietà, sull’esempio di Gesù Cristo che ha testimoniato loro la predilezione del Padre”.
Infine è bene riportare alcuni paragrafi degli ‘Orientamenti per una pastorale degli zingari’ del Pontificio Consiglio della Pastorale dei migranti e degli itineranti, pubblicato l’8 dicembre 2005: “L’evangelizzazione degli Zingari è missione di tutta la Chiesa, perché nessun cristiano dovrebbe restare indifferente davanti a situazioni di emarginazione o di allontanamento dalla comunione ecclesiale.
Anche se la pastorale per gli Zingari ha una sua specificità, e richiede nei suoi diretti protagonisti un’accurata e specifica formazione, un atteggiamento di accoglienza deve così manifestarsi nell’intera comunità cattolica. Occorre perciò sensibilizzare maggiormente tutto il Popolo di Dio non solo per superare l’ostilità, il rifiuto o l’indifferenza, ma per giungere ad un comportamento apertamente positivo nei confronti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle Zingari”.