Resurrezione

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La Notte dell’Exultet

Un momento contemplativo in cui il canto della Liturgia si fa incanto di stupore, lo gustiamo nella Veglia pasquale quando il buio, che in questa notte ha valore profondamente mistagogico, si trasfigura in luce di splendore. Si rimane allora quasi col fiato sospeso. A un tratto s’accende una fiammella alla porta della chiesa: è il cero pasquale. Subito dopo si ode una voce che nel silenzio del buio canta: Lumen Christi! E’ il Diacono che, vestito di bianca dalmatica, regge il grande cero ornato da cinque grossi grani d’incenso in forma di croce.

La processione avanza lentamente con maestosità e, alla ripetuta e sempre più elevata esclamazione del diacono, la santa assemblea acclama: Deo gratias! S’accendono man mano le candele e le lampade finché il cero arriva all’altare e tutta la chiesa si inonda di luce. Da questo estatico silenzio di splendore si eleva, come squillo di festa, il canto dell’Exsultet.  Luce e canto sono annunzio di Risurrezione al mondo che anela gioia di speranza: “Esulti l’angelica schiera celeste… e per la vittoria del grande Re squilli la tromba della salvezza. Gioisca anche la terra inondata da così grande splendore: la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la madre Chiesa splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa”. Dopo il breve dialogo del diacono con l’assemblea, il canto si fa più lirico per lo stupore al ricordo della bontà dell’invisibile Padre onnipotente e del sacrificio del suo unigenito Figlio che ha pagato per noi il debito contratto da Adamo ed ha cancellato col suo sangue quell’antico peccato. Poi viene il ricordo commosso della Pasqua: il passaggio dell’angelo liberatore in Egitto, il passaggio del Mar Rosso, la colonna di fuoco che illuminava e guidava il faticoso cammino nella notte del deserto. Notte di luce è questa “che Cristo risorto dai morti restituisce alla grazia e associa alla santità quanti credono in Lui”. E poi, quasi riecheggiando le celebri Antifone “O” dell’attesa in Avvento, cominciano le evocazioni esclamative: “O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!” E ancora: “O peccato di Adamo…”, “O felice colpa…”, “O notte beata…”, “O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!”. Dopo le “O” dello stupore, il canto della contemplazione estatica si trasforma in canto d’invocazione in cui tutto diventa motivo di adorazione, di supplica e di rendimento di grazie. L’emozione mistica, nel ricordo della bontà misericordiosa di Dio, fa fiorire sulle labbra del diacono un linguaggio soave e poetico nel guardare quel cero che gli risplende davanti. Egli canta che la fiamma che consuma il cero, non esaurisce il suo vivo splendore, anche se diviso in tante fiammelle.

Questa fiamma è alimentata dalle liquide cere che l’ape madre ha prodotto per questa preziosa lampada. Alla fine il canto diventa una sorta di abbraccio di pace che si allarga a raccogliere tutti in questa notte veramente beata della nostra risurrezione. La fiamma del Cero, che illumina l’oscurità della notte, ora deve risplendere di quella luce che mai si spegne, quella luce che deve con-fondersi con le stelle del cielo, anzi la stella del mattino la trovi ancora accesa. La fiamma del cero è simbolo di Cristo Risorto. La stella del mattino, che non conosce tramonto, è simbolo di Cristo Risorto, Splendore della Gloria del Padre, Luce che illumina il mondo. Celebrare contemplando è già visione di Luce e incanto d’ascolto.

Il Mattino dell’Alleluia

L’evento della risurrezione non ebbe testimoni. Gesù, però, a testimonianza della sua risurrezione, lasciò il sepolcro vuoto e i segni della sua sepoltura. Come Giuda si servì del denaro per tradire, così le guardie del sepolcro rinnovarono il tradimento col falsificare la verità della risurrezione. Anche se la menzogna è divulgata con arte, la Luce della Verità, non si lascia mai imprigionare. Il sepolcro non è la tomba della nostra speranza, nel senso in cui essa viene sepolta, ma, essendo il luogo in cui esplode la risurrezione, proprio lì vivono i segni di ogni speranza di glorificazione.

Se la tomba è l’ultima parola della natura, non lo è di certo per la verità del vangelo. Cristo risorto vince ogni luogo di morte. Come le donne al sepolcro, basta indugiare e attendere per ascoltare l’annunzio gioioso: Non è qui. E’ risorto! Indugia chi crede, cerca chi ama. La luce della risurrezione è riservata soltanto a chi ha fede. La fede è offerta solo a chi ama d’amore grande. Crede alla Risurrezione chi partecipa al banchetto dell’Amore.

La prima a recarsi al sepolcro è lei: Maria, la peccatrice di Magdala, alla quale è stato perdonato molto perché molto ha amato. E’ la prima nella fede perché è la prima nell’amore. All’alba della prima domenica, corre ansimante al sepolcro, tomba della sua speranza. Vuole completare l’imbalsamazione di Gesù, quasi per preservarlo dalla corruzione della morte. Corre verso il luogo della morte e trova i segni della risurrezione. Va verso l’oscurità triste della tomba ed è investita dalla luce della Vita. Giovanni descrive la scena con un dialogo stupefacente tra Maria, gli Angeli e Gesù (cf Gv 20, 11-18).

I due angeli in bianche vesti dissero a Maria: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Finché non lo incontra risorto, il pianto di Maria sa ancora di passione mortale. Ed ecco, si volta indietro e vede, senza riconoscerlo, Gesù in piedi che le dice: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” Lei, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!” E’ la prima parola che il Risorto rivolge a creatura umana. Lei ha la cognizione del Risorto solo quando la sua presenza diviene appello personale, non riconosce Gesù immediatamente ma improvvisamente quando è chiamata per nome. Folgorata dalla luce pasquale, esplode in un grido di gioia: Rabbunì! Il suo Maestro risorto è ormai il suo cuore. L’appassionato duetto d’amore si situa e si attua non più nel pianto accanto al sepolcro vuoto ma nell’incontenibile gioia dello spazio luminoso creato dalla gloria. Gesù le dice: Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre. Maria vuole eternare l’incontro, ma ormai Cristo risorto conferma che la sua presenza che permane tra gli uomini non sarà data da “apparizioni” occasionali ma sarà presenza duratura, stabile e piena attraverso il dono dello Spirito.

La glorificazione della Risurrezione, Ascensione e Dono dello Spirito, sarà la nuova relazione di Gesù con gli uomini. Maria, vivendo in pienezza d’amore il passaggio dalla vita secondo la carne a quella secondo lo Spirito, diviene la prima testimone della Pasqua. Gesù le dice ancora: Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. L’incontro pasquale termina quando lei corre dai fratelli discepoli ad annunziare loro l’Evento: Ho visto il Signore! e dice loro tutto quello che le aveva detto. Maria, da peccatrice, inviata come “apostola agli apostoli”, diviene la prima evangelizzatrice del Risorto.

Come i primi discepoli, anche noi siamo chiamati a incontrare il Signore risorto e a riconoscerlo. La fede è rapporto personale e vivo con Gesù Cristo, vivente in eterno e veniente nella storia dell’uomo. All’alba del “primo giorno” assistiamo a un concitato andirivieni dal sepolcro al cenacolo. L’incontro con il Signore sarà sempre attraverso la Parola e l’Eucaristia celebrata dalla Chiesa. Dio, in Cristo, non salva “dalla morte” ma “nella morte”. Se Cristo è risorto dalla morte, anche noi, in Lui, risorgeremo nella gloria.

La Chiesa, nella Sequenza della Messa di Pasqua, canta in forma lirica il dialogo con Maria Maddalena: “Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via? La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto”. Poi, riecheggiando l’atto di fede di Maria, acclama: “Sì, siamo certi, Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza”.

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