Le relazioni tra mondo cattolico ed ebraico interessano anche agli Usa

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Le “coalizioni spesso danno come risultato piccoli partiti – inclusi i partiti religiosi – che influenzano il dibattito in maniera eccessiva rispetto al loro peso elettorale”. E allora, meglio dare attenzione al settore religioso in Israele, e magari sperare in buoni rapporti tra il mondo ebraico e il Vaticano. Un dialogo visto come importante già dal 2004, quando una commissione per le relazioni religiose aveva messo al top della sua agenda il dialogo con il Giudaismo e lo sforzo per combattere l’antisemitismo. In gergo diplomatico, si chiama track two diplomacy, diplomazia del secondo binario. Nell’ultimo ventennio si è affermata nel panorama diplomatico mondiale, perché è più efficace degli accordi bilaterali. In pratica, invece di parlare tra i vertici dei governi, si cominciano a creare le basi della pace nelle comunità, in particolare nelle comunità religiose. Hanno il privilegio di essere strutturate, di avere una identità certa e di essere diffuse in maniera capillare nella società. Le religioni e le comunità alla base del processo di pace: è questa una delle piccole rivoluzioni silenziose della diplomazia internazionale. E gli Stati Uniti se ne sono accorti.

Le considerazione sulla necessità dei buoni rapporti tra Israele e Santa Sede vengono dai dispacci di Wikileaks. Negli scorsi giorni, sono stati pubblicati 3925 cables del dipartimento di Stato Usa che riguardavano Israele. I cable sono ancora non classificati, e dunque trovare un nucleo tematico è abbastanza difficile. Ma uno dei temi che saltano agli occhi è proprio l’importanza del dialogo tra mondo ebraico e mondo cattolico. Un dialogo importante anche per gli equilibri nella regione. I dispacci risalgono al 2004 e al 2005. Da allora molte cose sono cambiate. Il dialogo tra ebrei e cattolici ha subito impennate in positivo (lo storico viaggio di Benedetto XVI in Israele nel 2009) e continue piccole scaramucce a livello diplomatico. Per esempio, il caso sollevato sulla volontà dello Stato di Israele di far pagare la fornitura di acqua alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Oppure, per rimanere nell’ambito ristretto dei rapporti con il mondo ebraico italiano, la polemica sulla definizione di Koch della croce come “universale Yom Kippur” in un articolo sull’Osservatore Romano. Sullo stesso giornale, il rabbino di Roma Riccardo Di Segni ha polemicamente affermato: “Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi”.

Tra l’altro, proprio ad Assisi furono evidenti le basi di una diplomazia della pace a partire dalle religioni. L’importante è che il dialogo si basi sul rispetto delle identità religiose, e per questo Benedetto XVI ha voluto tornare ad Assisi dando il suo peculiare taglio religioso al venticinquennale del primo incontro tra i leader delle religioni.

Il dibattito più vivo tra Vaticano e mondo ebraico non riguarda però il dialogo, ma la storia, e in particolare la decisione di beatificare Pio XII, accusato dagli ebrei di essere rimasto in silenzio di fronte all’Olocausto. Per questo, un altro dei dispacci di Wikileaks appare ancora più significativo: la Biblioteca Vaticana e il Museo dell’Olocausto avevano intavolato colloqui per una collaborazione a marzo del 2003 Una delegazione del museo si era incontrata con il precedente direttore della biblioteca Jorge Maria Mejia per avere accesso all’Archivio Segreto Vaticano per analizzare documenti che risalgono agli anni precedenti alla guerra mondiale, e ha proposto una cooperazione tra i due organismi per catalogare altri documenti del periodo di guerra che ancora non sono stati pubblicati. Mejia disse sì, e chiese al Museo dell’Olocausto di porre per iscritto la richiesta per sottoporla alla Segreteria di Stato. Entusiasta dell’idea, spiegò che declassificare e pubblicare quei documenti era “molto importante per il Vaticano”, ma che “a causa di limitazioni” non era possibile farlo in tempi brevi.

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