Mons. Khazen: l’Occidente smetta di vendere armi in Siria

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Nei giorni scorsi le bande armate jihadiste dello Stato Islamico (IS) hanno fatto irruzione nel villaggio cristiano di Tel Hormuz, saccheggiando la chiesa ed imponendo agli abitanti la rimozione della croce dall’edificio sacro, come ha affermato all’Agenzia Fides mons. Jacques Behnan Hindo, Arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi:

“In quell’area c’erano più di 30 villaggi cristiani, fondati negli anni Trenta del secolo scorso, che avevano accolto soprattutto i cristiani assiri e caldei provenienti dal nord dell’Iraq, che cercavano salvezza dai massacri perpetrati allora dall’esercito iracheno. Erano villaggi fiorenti, abitati ognuno da migliaia di persone, con chiese e comunità molto attive, che gestivano anche scuole e iniziative sociali.

Ma dall’inizio della guerra si sono quasi tutti svuotati e alcuni di essi ormai appaiono come città fantasma. In uno di essi è rimasto un solo cristiano. In altri, gli abitanti sono ridotti a qualche decina. A Tel Hormuz rimane una delle comunità assire più consistenti. Ma adesso anche lì non superano i trecento, mentre un tempo erano più di 4000. Gli altri sono tutti scappati all’estero. E molti di loro non torneranno più”.

Quindi la situazione di sofferenza vissuta dai cristiani e dalle altre minoranze costrette a fuggire suscita ‘profonda preoccupazione’, tanto da rendere urgente un impegno diretto del Dipartimento di Stato Usa nel ‘sostenere l’istituzione, da parte del governo iracheno, di una provincia amministrativa autonoma nella Piana di Ninive’ e fornire un ‘supporto diretto alle forze di sicurezza locali incaricate di proteggere le vulnerabili minoranze etniche e religiose dell’Iraq’, secondo le proposte contenute in una petizione che 17 Senatori statunitensi di diverso orientamento politico hanno inviato al Segretario di Stato Usa, John Kerry, sollecitando interventi diretti da parte del Governo statunitense sulle istituzioni irachene per spingerle ad aumentare i livelli di tutela istituzionale e securitaria delle comunità cristiane autoctone.

Nella lettera i firmatari hanno citato anche l’articolo 125 della Costituzione irachena in vigore, che garantisce la tutela e la regolamentazione legislativa dei ‘diritti amministrativi, politici, culturali e educativi delle diverse nazionalità, compresi i turkmeni, i caldei, li assiri e tutte le altre componenti’. E monsignor Georges Abou Khazen, nell’intervista rilasciata ad Asia News, ha ricordato anche ‘la sorte dei due vescovi rapiti, di padre Dall’Oglio, degli altri sacerdoti e delle migliaia di persone’, prese in ostaggio da gruppi terroristici nel paese mediorientale.

Riferendosi al rapimento di padre Paolo Dall’Oglio e dei metropoliti ortodossi Boulos Yazigi e Mar Gregorios Youhanna Ibrahim, monsignor Abou ha affermato che “ogni volta arriva una notizia che poi viene subito contraddetta, non abbiamo contatti né canali di dialogo, navighiamo nel buio più assoluto”. Invece per quanto riguarda la vendita di armi da parte dei Paesi occidentali mons. Abou ha sottolineato che la ‘logica che inneggia al fanatismo’, più che con le armi, va combattuta con mezzi come l’educazione e la scuola, ma soprattutto privilegiando ‘il dialogo con imam e leader religiosi moderati, non con quanti, finanziati dall’esterno, promuovono logiche di violenza e terrore’.

Intanto il nuovo anno ha portato freddo e gelo ai rifugiati siriani: pioggia, tempeste di neve e basse temperature hanno aggravato la situazione già difficile in cui vivono milioni di persone in Siria, Libano e Giordania. Le Ong italiane hanno intensificato le distribuzioni di materiale per l’inverno. In base ai dati forniti dall’Unicef i bambini costituiscono la metà di tutti i rifugiati provocati dal conflitto in Siria.

Molti di loro sono riusciti a raggiungere Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto. Sempre più numerosi anche i siriani che fuggono verso i paesi del Nord Africa e dell’Europa. Gli ultimi dati inoltre mostrano che 740.000 dei rifugiati siriani hanno meno di 11 anni.

All’interno della Siria circa 7.000 bambini sono rimasti uccisi nel conflitto, mentre le stime rivelano che oltre 2.000.000 di bambini sono sfollati all’interno del Paese; e sono oltre 3.500 i minori siriani che hanno attraversato la frontiera per cercare rifugio in Giordania, Libano e Iraq non accompagnati o separati dalle proprie famiglie. Infine in Siria nel 2014 la guerra ha provocato la morte di 76.021 persone, una metà dei quali civili.

Il numero delle vittime è più del doppio rispetto al 2013, quando si contarono 33.278 caduti. A Baghdad il calcolo dei Ministeri degli interni, della sanità e della difesa parlano di 15.538 persone uccise nel 2014. Anche in questo caso, tale cifra è più che raddoppiata rispetto alle 6.522 persone che nel 2013 hanno perso la vita a causa del conflitto.

Sia per l’Iraq che per la Siria, gli attivisti sostengono che il numero reale dei morti è con ogni probabilità più alto, a causa della mancanza di dati verificabili sui territori controllati dallo Stato islamico. E la ong ‘Porte Aperte’ riporta testimonianze di alcuni cristiani, intrappolati nei territori iracheni dominati dall’ISIS:

“Le vite di decine di cristiani intrappolati in territorio dominato dall’IS sono appese a un riscatto da pagare, che spesso non si tratta ovviamente di milioni di euro, ma di qualche migliaio: in alcuni casi parenti e amici, fuggiti in tempo nella zona a dominazione curda, racimolano quello che hanno e pagano, nella speranza di rivedere i loro cari. Questi poveri anziani in fuga hanno perso tutto, derubati dai miliziani dell’IS anche dei pochi spiccioli in loro possesso”.

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