Müller: la riforma della curia e la “romanità” della Chiesa cattolica

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“ La Curia non è una mera struttura amministrativa, ma essenzialmente un’istituzione spirituale radicata nella missione specifica della Chiesa di Roma, santificata dal martirio degli apostoli Pietro e Paolo.” A scriverlo, alla vigilia del concistoro in cui si parlerà proprio di riforma della Curia è il cardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede che mette le basi teologiche del concetto stesso di riforma. Mentre le voci e i sussuri nei corridoi vaticani, molte le voci e le ipotesi nelle pagine dei giornali su come sarà la Curia che ha in mente Papa Francesco. Ma in effetti nulla di tutto questo è di fatto quello che Papa Francesco ha in mente. Ed è invece il cammino della “demondanizzazione” indicato da Benedetto XVI che Francesco segue. Il cardinale lo spiega ripercorrendo in pochi tratti il tema della collegialità e della sinodalità alla luce del Concilio Vaticano II in un lungo articolo sull’ Osservatore Romano.

“La struttura organizzativa e il funzionamento della Curia dipendono dalla missione specifica del vescovo di Roma.” Questo significa che solo nella fede capiamo “che il Papa e i vescovi godono di una potestà sacramentale e mediatrice della salvezza che ci collega con Dio.” La conseguenza immediata è che la “Chiesa universale non nasce come somma delle Chiese particolari, né le Chiese particolari sono mere succursali della Chiesa universale: esiste invece una mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiese particolari. La Chiesa è il corpo di Cristo, è guidata e rappresentata dal collegio dei vescovi cum et sub Petro.” La riforma quindi nasce da questo. Centro e fulcro della riforma non sono il numero di uffici, di Congregazioni o di commissioni. Quanto piuttosto la rinnovata coscienza della realtà del rapporto tra Roma e la Chiesa Unversale. “Il legame del vescovo di Roma con la Chiesa di Roma è indissolubile. Perciò, la Tradizione parla del primato “della Chiesa di Roma”. Il Papa non esercita il primato se non insieme alla Chiesa romana.”

La “romanità” dunque è elemento essenziale della cattolicità. E il Papa non esercita il primato “se non insieme alla Chiesa romana.” Ed è la Chiesa romana che collabora al compito universale del Papa. “Sin dai tempi antichi, essa si chiama “santa romana Chiesa”” e questo non perchè significgi “un qualsiasi dominio sulle altre Chiese”, ma piuttosto perchè “la sua natura interiore è, invece, quella di “presiedere nella carità” (Ignazio di Antiochia, Lettera ai romani, prologo), un servizio all’unità della fede e alla comunione di tutte le Chiese, per il bene dell’umanità intera.” Il cardinale Müller spiega come il metodo naturale di lavoro della Curia sia la collegialità, ed è “fondamentale, per la riforma della Curia, che essa sia intesa come una famiglia spirituale.” Distinta dalle istituzioni vaticane civili, distinta persino dal Sinodo dei Vescovi che è espressione della collegialità in comunione con il Papa e sotto la sua direzione, la Curia romana “ aiuta il Papa nell’esercizio del suo primato per tutte le Chiese.” Ed è per questo che “il Sinodo dei vescovi, le conferenze episcopali e le varie aggregazioni di Chiese particolari appartengono a una categoria teologica diversa dalla Curia romana.”

Ed lo Spirito Santo che “crea armonia tra i poli dell’unità e della molteplicità, tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, come pure all’interno delle singole Chiese particolari.” Ma attenzione allo Spirito del mondo che “semina conflitti e sfiducia”. Perché, spiega Müller “favorire una giusta decentralizzazione non significa che alle conferenze episcopali viene attribuito più potere, ma solo che esse esercitano la genuina responsabilità loro spettante in base alla potestà episcopale di magistero e di governo dei loro membri, sempre naturalmente in unione con il primato del Papa e della Chiesa romana.”

La conclusione è anche un invito: “una vera riforma della Curia romana e della Chiesa ha l’obiettivo di render più luminosa la missione del Papa e della Chiesa nel mondo di oggi e di domani. La Chiesa si vede sfidata dal secolarismo globale, che, con un radicalismo finora sconosciuto, tende a definire l’uomo senza Dio, chiudendo la porta alla trascendenza e distruggendo i fondamenti comuni dell’umano. Nella “dittatura del relativismo” e nella “globalizzazione dell’indifferenza”, per riprendere le espressioni di Benedetto XVI e di Francesco, i confini tra verità e menzogna, tra bene e male, si confondono. La sfida per la gerarchia e per tutti i membri della Chiesa consiste nel resistere a queste infezioni mondane e nella cura delle malattie spirituali del nostro tempo.”

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