Papa Francesco ai diplomatici: “Lo scarto di Dio alla base del terrorismo di matrice fondamentalista”
Il terrorismo di matrice fondamentalista è “conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio”, perché il “fondamentalismo religioso, prima ancora di scartare gli esseri umani, perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico”. Dice così Papa Francesco, nel consueto discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Un discorso anticipato di qualche giorno, arrivato alla vigilia del viaggio del Papa in Sri Lanka e Filippine. Un discorso tutto centrato su uno dei temi prediletti di Papa Francesco, quella “cultura dello scarto” che mette ai margini bambini, anziani, poveri, e in ultima analisi anche Dio.
Il consueto discorso di inizio anno del Pontefice è chiamato da alcuni il “discorso sullo Stato del mondo”, perché in esso il pontefice fa una panoramica di quello che accade nel mondo e spiega l’impegno della Santa Sede. Secondo il suo stile, Papa Francesco vuole dare uno stile più pastorale al suo discorso, lasciando l’attivismo diplomatico (una sorta di braccio secolare) alla Segreteria di Stato guidata dall’efficiente Cardinal Pietro Parolin, che ha sottolineato recentemente come “con tanti conflitti del mondo, non possiamo semplicemente aspettare e stare in silenzio”.
“Pace” è la parola che Papa Francesco vuole far risuonare in tutto il mondo. Racconta della Natività, del fatto che anche il Bambino Gesù viene scartato, perché non può trovare un alloggio, ed è costretto a nascere in una stalla. “C’è un’indole del rifiuto che ci accomuna, che induce a non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere, ma a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare”.
Da qui viene la cultura dello scarto. Nel suo “Urbi et Orbi” del giorno di Natale, Papa Francesco ha parlato dei “nuovi Erode” che uccidono i più piccoli sentendo minacciata la propria autorità,e ricorda ancora una volta la strage di oltre cento bambini in Pakistan, perpetrata a metà dicembre.
Ma il rifiuto – sottolinea Papa Francesco – diventa sociale, e “recide i legami più intimi e veri, finendo per sciogliere e disgregare tutta quanta la società per generare violenza e morte”, come si è visto nella strage di Charlie Hebdo a Parigi.
Questa mentalità fa percepire gli altri come oggetti, non come fratelli e sorelle, come recita il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, dedicato proprio al problema delle schiavitù moderne, che “nascono da un cuore corrotto, incapace di vedere e operare il bene, di perseguire la pace”.
Sottolinea il Papa che questa mentalità crea il dilagare dei conflitti. Il Papa manda un pensiero speciale al Medio Oriente, a partire dalla Terrasanta, cui ha dedicato una preghiera per la pace nei giardini vaticani. Lui, Shimon Peres e Mahmoud Abbas – dice – erano “animati dalla fiduciosa speranza che possa riprendere il negoziato tra le due Parti, inteso a far cessare le violenze e a giungere ad una soluzione che permetta tanto al popolo palestinese che a quello israeliano di vivere finalmente in pace, entro confini chiaramente stabiliti e riconosciuti internazionalmente, così che la soluzione dei due Stati diventi effettiva”.
Ma Papa Francesco guarda anche più largamente al terrorismo fondamentalista dello Stato Islamico, che imperversa in Siria ed in Iraq, che è “frutto della cultura dello scarto applicata a Dio”. “Di fronte a tale ingiusta aggressione, che colpisce anche i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi della Regione, occorre una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite che il succedersi dei conflitti ha provocato”.
Un tema cui il Papa è stato sensibilizzato anche nel suo incontro con la comunità Yazidi la scorsa settimana, tra le comunità più colpite dalla furia dello Stato Islamico. E chiede alla comunità internazionale e ai governi di assumere “iniziative concrete per la pace e in difesa di quanti soffrono le conseguenze della guerra e della persecuzione e sono costretti a lasciare le proprie case e la propria patria”.
È un Medio Oriente da cui i cristiani devono fuggire, e così il Papa chiede ai governi “di non essere indifferenti” davanti alla situazione dell’esodo nascosto dei cristiani, perché “un Medio Oriente senza cristiani sarebbe un Medio Oriente sfigurato e mutilato” e chiede a leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani di condannare “qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza”.
Una richiesta che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso aveva fatto con una dichiarazione ufficiale lo scorso metà agosto, chiamando tutti i leader del dialogo a condannare le violenze in nome di Dio, e che lo stesso Pontificio Consiglio ha reiterato la scorsa settimana, al termine di una due giorni di incontri con imam francesi programmata da tempo e che è drammaticamente coincisa con gli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo.
Questo fondamentalismo tocca moltissimi Paesi nel mondo: il Papa ricorda la Nigeria, dove la furia di Boko Haram ha portato ad una strage di cristiani nemmeno cinque giorni fa. All’escalation del conflitto, il Papa aggiunge la crescita del “tragico fenomeno dei sequestri di persone,” spesso di ragazze, che rappresentano “un esecrabile commercio che non può continuare” – e allo stupro il Papa dedica un piccolo paragrafo del suo discorso, definendolo “una gravissima offesa alla dignità della donna”.
La panoramica africana del Papa continua con uno sguardo alla Libia, un cenno alla “drammatica situazione “ della Repubblica Centrafricana, la “particolare preoccupazione” per quanto accade in Sud Sudan e in generale nel Corno d’Africa e nella Repubblica Democratica del Congo; “dove non cessa di crescere il numero di vittime tra la popolazione civile e migliaia di persone sono costrette a fuggire e a vivere in condizioni di estreme disagio”.
Ma la cultura dello scarto – dice il Papa – non si rivela solo nei conflitti, ma anche “in forme più sottili e subdole di rifiuto”, a partire dai “nuovi lebbrosi”, ovvero i malati. E tra questi malati, il Papa ricorda le vittime dell’epidemia di Ebola, che “ha già falcidiato seimila vite”. Il Papa elogia gli operatori sanitari che hanno curato i malati, e rinnova “l’appello a tutta la comunità internazionale perché venga assicurata una adeguata assistenza umanitaria ai pazienti e vi sia un impegno comune a debellare il morbo”.
Il Papa dà una attenzione particolare ai profughi e rifugiati, si sofferma sul Mediterraneo che era stato già oggetto del suo discorso al Parlamento Europeo lo scorso 25 novembre (“non si può tollerare che il Mare Mediterraneo divenga un grande cimitero”). Il modello è quello della Sacra Famiglia in Egitto, alle quali paragona le persone che “perdono la vita in viaggi disumani,” in cerca “non tanto di un futuro migliore, ma semplicemente in cerca di un futuro, perché rimanere nella propria patria può significare una morte certa”.
Papa Francesco cita il dato allarmante che “molti migranti, soprattutto nelle Americhe, sono bambini soli, più facile preda dei pericoli”. “Giunti spesso senza documenti in terre sconosciute di cui non parlano la lingua, è difficile per i migranti venire accolti e trovare lavoro”, afferma il Papa, che chiede “un cambio di atteggiamento” nei confronti dei migranti e anche nuove legislazioni che tutelino i diritti dei cittadini e garantiscono l’accoglienza dei migranti. Un appello che il Papa rivolge con forza anche alle organizzazioni internazionali.
Papa Francesco poi parla degli esiliati nascosti, anziani e diversamente abili, ma anche giovani. I primi “ oggetto di rifiuto quando sono ritenuti un peso e presenze ingombranti”; gli altri “scartati negando loro concrete prospettive lavorative per costruirsi il proprio avvenire”. A loro il Papa ha dedicato un incontro, quello con i movimenti popolari, ai quali ha sottolineato che “non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro e che rende il lavoro una forma di schiavitù”.
“Tutto ciò è contrario alla dignità umana e deriva da una mentalità che pone al centro il denaro, i benefici e i profitti economici a scapito dell’uomo stesso,” afferma Papa Francesco.
Anche la famiglia, dice il Papa, è “oggetto di scarto,” messa ai margini da una “sempre più diffusa cultura individualistica ed egoista che prescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società”.
La destrutturazione della società viene dalla globalizzazione, che fa perdere identità, ma anche senso del vivere. Il Papa ricorda le situazioni di disagio che ha potuto vedere a Roma, rivolge un pensiero alla Nazione Italiana, e poi passa a fare una disamina dei suoi viaggi internazionali.
Quello in Corea del Sud lo ha colpito particolarmente per l’incontro con i giovani, quello in Albania perché il Paese è modello di convivenza pacifica tra diverse religioni, “segno importante che una fede in Dio sincera apre all’altro, genere dialogo e opera per il bene, mentre la violenza nasce sempre da una mistificazione della religione stessa, assunta a pretesto di progetti ideologici che hanno come unico scopo il dominio dell’uomo sull’uomo”. Anche della Turchia il Papa sottolinea “i frutti del dialogo ecumenico e interreligioso, nonché l’impegno verso i profughi provenienti dagli altri Paesi del Medio Oriente”.
Il Papa pone come esempio di dialogo la ripresa dei rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Cuba, frutto anche di un impegno prolungato nel tempo della Santa Sede, che da sempre ha favorito i ponti diplomatici, e plaude alla scelta USA di chiudere il carcere di Guantanamo. E chiede che anche in Burkina Faso – dove c’è “un periodo di importanti trasformazioni politiche e istituzionali” – ci sia collaborazione per costruire una società più giusta e fraterna. E tra gli accordi di pace, il Papa sottolinea quello siglato nelle Filippine (dove sarà in visita da metà della prossima settimana), l’impegno per la pacificazione della Colombia, le iniziative in Venezuela (dove però la Santa Sede non ha voluto avere un ruolo da mediatore ufficiale nel conflitto). Il Papa guarda anche al Medio Oriente, e spera nell’intesa tra l’Iran e il Gruppo 5+1 sull’utilizzo dell’energia nucleare per scopi pacifici. Un tema, quello dell’energia nucleare, in cui la Santa Sede è in prima linea.
Papa Francesco conclude ricordando la bomba atomica sganciata su Hiroshima, di cui quest’anno si ricorda il sessantennale, e plaude all’impegno delle Nazioni Unite, nate “dalle ceneri di quell’immane tragedia”. E sottolinea che in questo anno ci sono due processi importanti: la redazione dell’Agenda di Sviluppo post-2015 e l’elaborazione di un nuovo accordo sul clima. Chissà se questi due temi non rientrano nella prossima enciclica sull’ecologia, che dovrebbe essere pronta entro l’anno.
Di certo, il presupposto indispensabile di questi accordi è “la pace, la quale, prima ancora della fine di ogni guerra, sgorga dalla conversione del cuore”.