L’approfondimento. La Chiesa in Australia: divisioni e speranza

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Le Giornate mondiali della gioventù parlano al mondo, non prima di averlo fatto con le realtà in cui vengono ospitate. E per Chiese abituate a confrontarsi con società secolarizzate, eventi simili sono anche un modo per rafforzare la propria identità. Avvenne a Toronto nel 2002, è così anche per i cattolici dell’Australia, consapevoli della visibilità che può garantire una GMG.

E’ una Chiesa che mutua le logiche comunicative dei media e che vuole mostrare al mondo la genuinità della fede: un ritorno alle radici che suona come un programma, di fronte alle divisioni degli ultimi decenni e a quello che alcuni osservatori definiscono uno “scisma sommerso”.

La Chiesa australiana ha vissuto in modo drammatico il dibattito del dopo Concilio, la dialettica tra tradizionalisti e progressisti, lo spirito di riforma. Se in Occidente, il confronto tra l’ermeneutica del Concilio come rottura e quella come continuità è stato relegato ad ambiti quasi accademici, in un Paese come l’Australia esso ha prodotto vere e proprie lacerazioni. E non è un caso se anche oggi, circa duecento tra sacerdoti e diaconi sposati, laici e membri di ordini religiosi maschili e femminili, hanno inviato una lettera a Benedetto XVI con la richiesta di amettere il sacerdozio femminile e degli uomini sposati.

Molti osservatori concordano nel dire che la crisi del cattolicesimo australiano affonda le radici nell’enciclica Humanae Vitae, scritta da Paolo VI nel 1968. La riaffermazione della morale sessuale non fu accolta da tutti i settori della Chiesa locale. Al contrario, vi furono contestazioni e aperte prese di distanza, a tal punto che negli anni ’70, l’Australia assistette ad un grave esodo dalle file del clero: circa 400 preti e 3 mila fra frati e suore abbandonarono il ministero, creando problemi soprattutto nelle strutture che la Chiesa gestiva (in particolare le scuole).

Cominciarono così a contrapporsi due fronti: da una parte, chi propugnava riforme incisive per costruire una Chiesa meno clericale, aperta ai laici e alle problematiche, spesso controverse, del quotidano; dall’altra chi si rifaceva alla tradizione e al magistero, senza paura di andare controcorrente, specie in campo morale. Lo scontro si è protratto per tutti agli anni ’90, quando la stessa Santa Sede decise di fare chiarezza.

Nel 1998, con il documento Statement of Conclusions vennero ribadite le prerogative tradizionali del clero e degli ordini religiosi, la centralità dell’evangelizzazione, la natura gerarchica della Chiesa, il recupero di pratiche devozionali come il Rosario. In una società secolarizzata e disinvolta sui temi della vita e della famiglia, la Chiesa non aveva paura di proporre le sue posizioni sulla sessualità e la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, ma anche la propria dottrina. Significativo a riguardo, le norme sulla liturgia, con il divieto dell’uso ormai frequente del terzo rito della confessione, che prevede l’assoluzione collettiva dei peccati invece della confessione individuale.

Queste misure furono accompagnate dalla nomina di George Pell come arcivescovo di Sydney e primate dell’Australia. Da sempre su posizioni tradizionaliste, il cardinale portò la battaglia anche in campo teologico. Nel febbraio del 1998, sconfessò Tomorrow’s Catholics, un libro di padre Michael Morwood, e prese le distanze da Papal Power: a proposal for change in Catholicism’s third millenium, volume di padre Paul Collins, famoso commentatore religioso televisivo. Entrambi i libri furono ritenuti contrari ai dogmi e alla visione cattolica, con il risultato che i due autori nell’arco di pochi mesi decisero di lasciare il sacerdozio. Il cardinale Pell mostrò la stessa fermezza con i gruppi di omosessuali cattolici che reclamavano un riconoscimento e arrivò a rifiutare la comunione ad attivisti gay, presentatisi in cattedrale.

Sullo sfondo, la crisi delle vocazioni (nel 1997 non fu ordinato nemmeno un prete in tutta l’Australia) e realtà di una comunità di credenti con le idee non proprio chiare. Da uno studio condotto nel 1996 dalla National Church Life Survey, emerse un calo del 10% in 5 anni della partecipazione alla messa (il 16% dei cattolici) e un ridimensionamento dell’incidenza del magistero sulla vita quotidiana. Meno del 50% accettava gli insegnamenti su aborto, rapporti prematrimoniali e contraccezione, ma anche il divieto di ordinazione sacerdotale alle donne. I giovani cattolici, in particolare, sembravano mettere in dubbio anche le basi fondamentali della fede: solo il 50% riteneva reale la presenza di Cristo nell’Eucaristia e il 57% credeva nella divinità di Gesù e nella sua Risurrezione.

Non mancano tuttavia, segnali di ripresa. Negli ultimi anni, si registra una timida inversione di tendenza nel numero di seminaristi e aumentano i battesimi, è diventato sempre più intenso il dialogo ecumenico con le altre confessioni cristiane, si è affermata una linea di chiarezza, specie per quanto riguarda le responsabilità negli scandali della pedofilia tra il clero degli anni ’90 e nella discriminazione degli aborigeni. Con nuove sfide da accogliere e una Chiesa in trasformazione: se i cattolici arrivarono nel Paese a inizi ‘800 attraverso le colonie penali irlandesi, per poi crescere di numero grazie all’emigrazione europea, oggi nuova linfa arriva dagli asiatici e dai polacchi. Un’interculturalità da vivere come opportunità: missione non sempre facile.

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