Libertà religiosa in Pakistan: l’Italia si mobiliti

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Alcuni giorni fa, su iniziativa dell’Associazione Pakistani Cristiani in Italia, è stata presentata nella sala stampa della Camera dei Deputati una mozione parlamentare sulla libertà religiosa in Pakistan e ovunque sia messo a rischio l’inalienabile diritto alla fede.

L’incontro è stata un’occasione per ricordare il macabro capitolo del dramma vissuto quotidianamente dai cristiani del Punjab, partendo dalla vicenda di Shama e Shahzad Masih, i due coniugi gettati vivi nella fornace della fabbrica di mattoni dove lavoravano, il 4 novembre scorso. Una morte aberrante, dietro la quale c’è ancora una volta l’articolo 295 del Codice penale pachistano sulla legge sulla blasfemia, troppo spesso usato per risolvere rivalità economiche o questioni che nulla hanno a che vedere con la religione.

Dei 32 casi registrati lo scorso anno, 16 hanno visto imputati cittadini di religione cristiana. Sul versante extra-giudiziale, le esecuzioni sommarie dei fondamentalisti, dal 1986 a oggi, sono state 2500. La vicenda della coppia cristiana ha messo in luce la facilità con cui possano essere formulate accuse di blasfemia. La cosiddetta legge anti-blasfemia, corrispondente ai commi B e C dell’articolo 295 del Codice penale pachistano, non rende necessario provare la volontarietà dell’accusato.

L’associazione ha affermato: “Come il 40% dei pachistani, Shama era analfabeta e, come il 95% della popolazione, non conosceva la lingua araba. Le era quindi impossibile capire se sulle pagine che stava bruciando erano stati riportati dei versetti del corano, che in Pakistan sono spesso trascritti anche su quotidiani e altre pubblicazioni, così come difficilmente i suoi accusatori possiedono una conoscenza della lingua araba tale da individuare, senza alcuna ombra di dubbio, dei versetti del testo sacro islamico nei fogli bruciati dalla donna.

E’ inoltre da notare come la cosiddetta legge nera sia usata in particolar modo per colpire le minoranze religiose. Recenti studi mostrano che sebbene gli appartenenti alle minoranze religiose costituiscano meno del 4% della popolazione pachistana, a loro è rivolto circa il 50% delle accuse di blasfemia. L’uccisione dei due coniugi cristiani accende inoltre i riflettori sulla tragica sorte dei lavoratori nelle fornaci di mattoni in Pakistan. Intere famiglie sono ridotte in schiavitù per ripagare debiti contratti con i proprietari delle fabbriche, e costrette a lavorare in condizioni disumane.

Sebbene qui il lavoro forzato sia illegale, si stima che tra 3 ed 8 milioni di pachistani, il 40% dei quali minorenni, siano vittime di questa odierna forma di schiavitù. Tra loro è alto il numero di appartenenti alle minoranze”. Anche l’associazione ‘Porte Aperte’, ha raccontato come i bambini in questo Stato siano perseguitati attraverso la storia di Mikal (nome cambiato per ragioni di sicurezza), che “è un bambino di 7 anni che vive in Pakistan.

Anche se la scuola che frequentava è pubblica, l’80% del suo tempo era impegnato negli studi islamici e solo il 20% della sua giornata era occupato da materie come matematica, storia o scienze. Inoltre anche nei libri di testo di queste materie era promosso l’islam e, in alcuni casi, si attaccavano i cristiani e le altre minoranze religiose, affermando che di loro ‘non ci si può fidare’. Oltre che dallo studio del Corano, la vita scolastica di Mikal era caratterizzata dal bullismo dei suoi compagni di classe, a causa della sua fede cristiana.

Gli altri studenti lo isolavano e non aveva neanche un amico. Quasi ogni giorno durante la ricreazione, i suoi compagni lo circondavano e lo chiamavano ‘infedele’ o ‘impuro’. Gli dicevano anche che tutti i cristiani sono maiali o scimmie. Così Mikal ha cominciato a credere che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui e nella sua fede ed ha iniziato ad essere depresso. Il bullismo si è esteso ai genitori dei suoi compagni, che hanno iniziato ad infastidire la famiglia di Mikal.

Anche i talebani, numerosi nella sua città, sono venuti a sapere dell’esistenza di questa famiglia cristiana e hanno iniziato a minacciarla con il messaggio: ‘Se non vi convertirete, faremo rapire i vostri due figli’. Successivamente sono arrivate le minacce di morte per tutta la famiglia. Il padre di Mikal è stato sul punto di reagire: ‘Volevo comprare una pistola per difendere la mia famiglia, ma ero combattuto perché Gesù ci dice di porgere l’altra guancia’.

L’unica cosa che poteva fare era chiedere saggezza a Dio. Il Signore ha ascoltato il suo grido. I talebani non hanno attaccato la famiglia, ma il padre di Mikal ha capito che dovevano spostarsi da quella regione. Hanno preso alcune delle loro cose e se ne sono andati per sempre”.

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