Il Papa ai governanti del mondo: “Globalizzate la fraternità”

L’invito finale è quello di “globalizzare la fraternità”. Ma il messaggio 2015 della Giornata Mondiale della Pace, dedicato al tema della schiavitù contemporanea, contiene un appello forte agli Stati, alle organizzazioni intergovernative, alle imprese e alla società civile: tutti chiamati in causa a far sì che possiamo essere “Non più schiavi, ma fratelli”, come recita il titolo della Giornata Mondiale della Pace 2015.
Istituita da Paolo VI, la Giornata Mondiale della Pace si celebra il primo di ogni anno. Il messaggio – questo è il 48esimo – viene inviato alle Cancellerie di tutti gli Stati, e diventa anche la linea guida per l’incontro che tradizionalmente il Papa fa con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Papa Francesco ha fatto della fraternità la cifra dei suoi messaggi per la Giornata Mondiale della Pace: lo scorso anno, il tema era “Fraternità, via e fondamento per la pace”; quest’anno, il tema è “Non più schiavi ma fratelli”, una espressione che nasce dalla lettera di San Paolo a Filemone. In quell’occasione, l’Apostolo chiede all’amico di accogliere Onesimo, convertitosi al cristianesimo, non più come suo schiavo, ma come fratello.
È un tema, quello della schiavitù, molto caro a Papa Francesco. Del traffico contro gli esseri umani ha fatto la principale attività diplomatica del suo pontificato, e recentemente si è reso protagonista di una storica firma contro la schiavitù insieme ai leader delle altre religioni. Il Papa nota nel messaggio che “la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità”.
Si può dividere il messaggio in due parti: una parte più teologica, che parte dalla lettera di Paolo, ma tocca anche la Genesi con la storia di Caino e Abele e quella di Noè e del suoi figli, sottolineando che “il peccato di allontanamento da Dio, dalla figura del padre e del fratello diventa un’espressione del rifiuto della comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento”.
È la nuova alleanza di Gesù che porta alla creazione di una civiltà nuova. Una civiltà dell’amore, in cui tutti sono trattati da fratelli e nessuno viene sfruttato. È il motivo per cui da sempre il cristianesimo ha combattuto la schiavitù.
Un fenomeno che – sottolinea il messaggio – è presente da “temi immemorabili”, e che nonostante “oggi la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente abolita nel mondo”, questa è comunque presente nel mondo. Il Papa elenca le situazioni che gli stanno a cuore: quelle di lavoratori e lavoratrici minori, “asserviti” in vari settori sia “in Paese in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali”, sia in quelli in cui c’è una legislazione. E poi i migranti, i clandestini, costretti a lavorare in dipendenza “strutturale” dal datore di lavoro, magari per avere il permesso di soggiorno; quelle di coloro che sono costretti a prostituirsi; e poi i minori e gli adulti che “sono fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale.
Quali le cause profonde della schiavitù? Anche qui, il Papa fa un elenco: povertà, sottosviluppo, esclusione, combinati con il mancato accesso all’educazione o con una “realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro”. E per questo, dice il Papa, spesso le vittime del traffico di esseri umani hanno cercato “di uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false promesse di lavoro, e invece sono cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani”.
Altro motivo della schiavitù è individuato nella “corruzione di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi”, e poi conflitti armati, violenze, criminalità e terrorismo, perché “numerose persone vengono rapite per essere vendute, oppure arruolate come combattenti, oppure sfruttate sessualmente, mentre altre si trovano costrette ad emigrare, lasciando ciò che possiedono”.
Il Papa chiede un comune impegno contro la schiavitù. Plaude al lavoro silenzioso di molte congregazioni religiose, “specialmente femminili,” e fa un appello a ogni livello della società civile. Agli Stati, perché le loro legislazioni nazionali siano “realmente rispettose della dignità della persona”, e perché riconoscano il ruolo della donna nella società, operando anche sul piano culturale della comunicazione per ottenere i risultati sperati”. Poi il Papa si rivolge alle organizzazioni intergovernative, perché attuino “iniziative coordinate per combattere le reti transnazionali del crimine organizzato che gestiscono la tratta delle persone”; alle imprese, perché garantiscano ai loro impiegati “condizioni di lavoro dignitose e stipendi adeguati” – e a questo si deve aggiungere la responsabilità sociale del consumatore, invitato implicitamente a favorire le imprese che aderiscono a questi requisiti; e poi le organizzazioni della società civile, chiamate a dare voce al problema della tratta.
“Dobbiamo riconoscere che siamo di fronte a un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una mobilitazione di dimensioni comparabili a quello del fenomeno stesso,” dice il Papa.
Il quale invita “a globalizzare la fraternità” con questo grande movimento di opinione che propone. Il tutto basandosi su un santo modello: suor Giuseppina Bakhita, del Darfur, schiava dall’età di nove anni, diventata “attraverso dolorose vicende libera figlia di Dio”.