La Turchia alle spalle, il cammino ecumenico da portare avanti

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Si pensava a una vera e propria agenda ecumenica, con la tappa finale prevista per un grande Concilio Ecumenico di tutte le confessioni cristiane a Nicea nel 2025. Ma alla fine la dichiarazione congiunta di Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo I reitera l’impegno comune per l’unità, mette in luce alcuni dei temi in cui le due Chiese sorelle collaborano (lotta al terrorismo, dialogo con l’Islam) ma non definisce nessuna agenda ecumenica. Troppo difficile, nella Turchia di oggi.

Tre giorni di Papa Francesco fanno immergere nella realtà di un Paese che sembra spaccato. Piazza Taksim e i suoi moti nati dalla protesta di una speculazione edilizia che avrebbe ridotto di grandezza il parco Ghazi, sembra lontana. Erdogan è presidente, con la stragrande maggioranza dei consensi, l’ultimo punto di una progressiva islamizzazione del Paese cominciata da lontano. “In fondo Ataturk non aveva mai detto che la sua rivoluzione era per stabilire uno Stato laico. Aveva detto che era per cacciare gli stranieri. Lo stabilimento dello Stato laico aveva provocato molto malumore”, afferma Fortunato Maresia, uno storico e ‘levantino’, la cui famiglia è in Turchia da metà dell’Ottocento.

E così, passo dopo passo, il partito religioso ha preso il potere, si è anche alleato al Partito Socialista, e ha prodotto Recep Tayip Erdogan, politico fine e religioso ortodosso proclamato, che utilizza il senso di riscatto del mondo islamico – ormai maggioranza in Islam – come chiavistello di potere politico. È la religione secolarizzata. O, meglio, l’uso secolare della religione.

Come vivono i cristiani? Il Phanar, la sede del Patriarcato Ecumenico, è in un quartiere poverissimo. Bartolomeo I viene visto male dal governo, il suo prestigio internazionale è inversamente proporzionale alla simpatia che suscita. Si è fatto di tutto perché la visita del Papa fosse considerata solo una visita privata. Per il governo di Ankara, era Ankara la tappa principale.

“C’è anche la paura, ingiustificata dai fatti e dalla sostanza, che il Patriarcato Ecumenico possa costituirsi come la Santa Sede, Stato nello Stato della Turchia, e liberarsi dal controllo turco,” racconta padre Alberto Ambrosio, domenicano che da 11 anni è in Turchia.

L’ecumenismo diventa qualcosa di fondamentale, in un Paese in cui i cristiani rappresentano lo 0,02 per cento della popolazione. Così, se prima ci si arroccava nella propria identità, adesso si assiste tranquillamente alle Messe l’uno dell’altro. Ma restano i problemi del Paese.

“Non pensavo nemmeno che il Papa sarebbe venuto, considerati i problemi interni che abbiamo. Ma lui è qui. E spero che cambi qualcosa. Anche Benedetto XVI è venuto, ed era tutto bello. Quando i Papi vengono, portano gioia e speranza. Ma, dopo, tutto rischia di rimanere uguale,” racconta Isabel, una studentessa cattolica di 23 anni.

Pressato dal governo, minoranza nella nazione, messo in difficoltà dall’ortodossia russa che si oppone alla sua idea di portare tutte le Chiese all’unità (e soprattutto non capisce perché il patriarcato ecumenico debba avere un ruolo chiave nel farlo), Bartolomeo I ha cercato di moltiplicare gli sforzi per il cammino ecumenico e ha convocato un Concilio Pan Ortodosso per il 2016.

“Sarà un momento cruciale, perché in quel momento si dovrebbe mettere sul tavolo anche l’agenda per l’unità,” racconta padre Ambrosio. Il quale comunque sostiene che le Chiesa cattolica debba prima di tutto fare un profondo lavoro sulla sua coerenza interna.

E allo stesso tempo, di moltiplicare gli sforzi ecumenici. Papa Francesco è andato a trovare i ragazzi dello Youth Center Don Bosco: quasi 600 ragazzi (e quasi tutti profughi) che i salesiani accolgono, senza alcuna distinzione religiosa. “Noi gli insegniamo a pensare ad un futuro, prima che dargli un tetto e un pezzo di pane mentre i genitori sono via a cercare un lavoro,” racconta padre Andrés Calleja, che di quel centro è lo straordinario animatore.

Tra loro, Sarah, 14 anni, che ha fatto un dipinto da regalare al Papa, per chiedergli “di pregare per la pace nel mondo”, e che è partita dalla Siria due anni fa; e Yusuf, 12 anni, iraqeno, il cui padre è finito ucciso, arrivato a Istanbul dopo vicende rocambolesche; e come le loro molte altre storie.

“Ci sono 1 milione 700 mila profughi in Turchia, e 700 mila sono solo ad Istanbul,” conta Rinaldo Marmara, presidente di Caritas Turchia.

Marmara sottolinea che “ci sono i campi profughi, ma è anche vero che le persone vogliono venire a Istanbul, vogliono stare nelle grandi città, per trovare lavoro, un futuro. E noi vorremmo essere in grado di accoglierli, di tenerli qui finché non si creano nuove condizioni per tornare nella loro casa”.

Ma questa è la Turchia oggi. In emergenza umanitaria, e anche in emergenza democratica secondo alcuni, ma con una crescita economica senza precedenti che fa mettere da parte ogni problema religioso.

Così, la battaglia di Bartolomeo I sembra quasi una lotta isolata per ricreare un tessuto e una identità mangiato non solo dall’Islam, ma anche dalla secolarizzazione. L’aiuto del Papa – che ha incontrato per quattro volte, mai successo nella storia – gli è fondamentale. E il Papa volentieri vuole aiutare il Patriarca ecumenico, perché ha segnato nell’unità uno dei temi chiave del suo pontificato. Come questo tema si svilupperà è tutto da vedere.

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