Ringraziamento: don Paolo Bonetti spiega il significato

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“La Giornata del Ringraziamento 2014 precede di alcuni mesi l’apertura di Expo Milano 2015 dedicato a ‘Nutrire il pianeta. Energia per la vita’, un tema di particolare rilevanza per il nostro Paese e non solo. Esso invita a dedicare un’attenzione speciale al tema del cibo, quale dono di Dio per la vita della famiglia umana… In questa Giornata del Ringraziamento guardiamo dunque all’agricoltura, che, attraverso i suoi frutti, è fonte della vita”: così inizia il messaggio della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, per la Giornata del Ringraziamento, che si celebra domenica 9 novembre.

Per comprendere meglio la giornata, abbiamo chiesto al consigliere ecclesiastico nazionale della Coldiretti, don Paolo Bonetti, di spiegarci il significato nel mondo agricolo di questa celebrazione: “E’ un omaggio pubblico che si rinnova, al termine dell’annata agraria, da oltre sessant’anni.

E’ un’occasione straordinaria per chi lavora i campi per essere in contatto con il valore della gratitudine che è legata al creato ricevuto come dono e che rimane sempre il luogo dove Dio creatore continua a benedire la vita dell’uomo attraverso la terra e la varietà dei suoi frutti.

La terra è il dono prezioso ed intelligente di Dio Creatore e gli agricoltori sono gli amministratori responsabili per coltivarla e metterla a frutto. La gratitudine riflette l’anima religiosa ed universale del lavoro agricolo che è a contatto con le piante, gli animali, i fiumi, le pianure, presenze fondamentali che raccontano il loro continuo scambio di solidarietà”.

Come si può benedire i frutti della terra?
“La terra è amata da Dio e dagli uomini. Sulla terra e sull’uomo c’è una benedizione permanente perché è la casa della vita e casa comune degli uomini. E questo l’agricoltore non può dimenticarlo perché più degli altri è vicino all’azione vitale del Creatore che invita a produrre cibo per tutti e a trasmettere e non manomettere la fertilità della terra.

La terra va ascoltata, rispettata perché tutti possano ricevere i frutti della terra con gratitudine e perché permettono a Dio Creatore di essere sempre ringraziato e benedetto sull’altare del Creato. Se il lavoro diventa benedizione nella condivisione e nella riconoscenza è importante che l’impresa agricola marchi la distanza da quella visione che produce spreco e lucro nella logica del consumismo. La vita e la terra è affidata alla solidarietà perché tutti gli uomini possano vivere una esistenza dignitosa e possano sperimentare la gioia di appartenere all’unica famiglia umana”.

Cosa significa essere custodi del territorio?
“Quando l’agricoltore termina la sua giornata di lavoro e si guarda indietro e vede la terra dissodata o la terra rifiorita vede i frutti del suo lavoro e di tanti altri agricoltori che l’hanno preceduto. Ci sono voluti millenni per ricamare i nostri campi e le nostre colline e ora spetta a noi continuare a modellare i terreni come fa il vasaio con la creta. Terra, lavoro, uomo sono in rete e ogni spiga di grano, ogni grappolo d’uva, ogni pianta sono il frutto di questa sinergia.

Abitare la terra significa essere radicati e collegati con altre persone in comunione di storia, tradizione, cultura, lingua all’insegna della collaborazione. Lavorare la terra non è soltanto un’occupazione ma una scelta di vita capace di mettere in atto buone pratiche con progetti di inclusione per raccontare un’agricoltura amica della società, aiutandola a rigenerarsi fino ad accorciare le distanze fra la campagna e la città.

Se siamo parte di un territorio, chi lavora i campi non è solo agricoltore ma anche cittadino che collabora alla salvaguardia non solo della campagna ma anche dei paesi, dei borghi e della loro salubrità. Promuovere oggi la tipicità di un territorio e difenderlo quando il suo uso viene minacciato, è battaglia di civiltà.

Promuovere il cibo locale e la produzione di piccola scala per resistere all’omologazione dei cibi o alla loro contraffazione chiama in causa l’agricoltura che non può essere ridotta soltanto ad un settore economico ma sempre più come presidio del territorio”.

Come possiamo diventare consumatori responsabili?
“Compito dell’agricoltore è quello di produrre cibo, sano, buono, giusto, accessibile a tutti. Il cibo, poi, è in elazione con un mondo vivente e non può essere ridotto a merce. Il cibo, oltre essere alimento, è portatore di messaggi legati alla vita di relazione perché in rapporto con la convivialità, con il territorio e i suoi sapori.

Chi acquista il cibo non è solo un consumatore ma un cittadino, non è solo cliente, passivo e incompetente ma è interessato ai prodotti genuini, ai saperi antichi, al scegliere cosa mangiare. Coltivare il valore del cibo, capire il lavoro che sta dietro un prodotto che arriva sulla nostra tavola è comprendere la portata etica, ambientale e sociale del cibo. Conoscere la filiera è far nostra la storia, il territorio, i passaggi della produzione del cibo.

Dietro il cibo c’è la terra e dietro il lavoro c’è l’agricoltore che ha seminato, lavorato, raccolto. La certificazione e la tracciabilità dei prodotti, poi, sono azioni di trasparenza per la difesa dell’identità del cibo, del territorio e della comunità che vi abita”.

Oggi quale identità ha l’agricoltore?
“Già dagli anni ’90 Coldiretti stava maturando una visione dell’agricoltura non limitata al solo ‘coltivare’ ma si apriva al compito che è comune a tutti ma che tocca da vicino gli agricoltori, ‘il custodire’. E questo perché si riconosceva una signoria alta all’uomo sul creato, permettendo non solo la rigenerazione dell’agricoltura ma anche della società.

Coldiretti nei suoi 70 anni di storia non ha dimenticato le sue radici che si fondano sulla dottrina sociale della Chiesa, ma al contrario ha tratto da essa linfa vitale per andare oltre il semplice coltivare per attestarsi sul più impegnativo ‘custodire’, accorciando le distanze nella logica della prossimità, dai campi alla tavola, dalla campagna alla città.

L’agricoltore oggi sta muovendo i passi all’interno dell’etica della responsabilità, dando all’impresa agricola una finalità più ampia, il bene comune per coniugare il saper fare con il saper vivere. Prendersi cura di tutto ciò che è vita è un livello alto di umanità e su questo versante sta la grandezza e la nobiltà del custodire la terra perché a contatto con il miracolo della vita”.

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