Il lapis del Papa, 89 anni di storia del PIAC
Mercoledì 5 novembre si è aperto l’ anno accademico del Pontificio Istituto di archeologia cristiana. Tra gli ospiti il cardinale Segretario di stato Pietro Parolin e il presidente dell’ APSA cardinale Domenico Calcagno. L’atto accademico è stato anche occasione per festeggiare la conclusione dei lavori di ristrutturazione dell’edificio e per ricordane le origini. Diverse le relazioni dei professori dell’ Istituto. Olof Brandt, professore di architettura, Fabrizio Bisconti professore di iconografia, Philippe Pergola professore di topografia, M.Cristina Terzaghi che si è occupata del restauro di una tavola di Domenico Beccafumi situata nell’ Aula Magna, e Giorgio Nestori, bibliotecario e responsabile delle collezioni del Piac.
Quando Pio XI fonda il PIAC nel 1925 è in un momento storico in cui il mondo cattolico si crea gli strumenti accademici e intellettuali per interagire con la cultura moderna anche al di fuori dal mondo delle facoltà di teologia. Nel 1921 l’Università Cattolica di Milano viene inaugurata da Achille Ratti, il futuro Pio XI. Lo stesso papa inaugura nel 1936 la Radio Vaticana con un bollettino in latino della Pontificia accademia delle scienze, che lui stesso poi riformerà lo stesso anno. Come dirà il segretario di Stato Eugenio Pacelli a nome di Pio XI alla Pontificia Accademia delle Scienze nel 1937: “Dal medesimo divino fonte scaturiscono e scendono all’uomo i rivi potenti delle scienze naturali e razionali e il gran fiume della sapienza rivelata.”
Era stato proprio questo mondo accademico laico a chiedere al papa di fondare un istituto di archeologia cristiana. Nel 1900 i partecipanti al Secondo Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana a Roma chiedono a Leone XIII di istituire un insegnamento di archeologia cristiana. Da una parte il desiderio si spiega con l’enorme sviluppo dell’archeologia classica in Italia e soprattutto a Roma tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, gli anni in cui si scava il Foro Romano e si fondano gli istituti nazionali, come il Germanico, la British School e l’Ecole Francaise. Dall’altra, si spiega con l’importanza della Chiesa antica nel movimento di rinnovamento culturale e spirituale, iniziato nell’800 – basti pensare alla riscoperta del gregoriano a Solesmes – e culminato nel Concilio Vaticano II. Una nuova richiesta viene elaborata e presentata a Benedetto XV nel 1918. Questo progetto viene redatto da due membri della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, il laico Angelo Silvagni, esperto epigrafista, e mons. Carlo Respighi, cerimoniere del papa, che trova il modo di presentarlo a Benedetto XV. Il papa risponde che lo vuole fare, ma che non si può realizzare subito. Nel 1922 viene eletto Pio XI e pronuncia la sua prima benedizione dalla loggia di S. Pietro, per la prima volta dopo 1870. Lo accompagna il Prefetto delle Cerimonie Pontificie Carlo Respighi, che racconta che appena il nuovo papa rientra dalla loggia, chiede a Respighi notizie sulle catacombe, e discutono il progetto di un istituto di archeologia cristiana.
Nel 1923 Pio XI chiede la collaborazione del sacerdote lussemburghese Johann Peter Kirsch per la creazione del nuovo istituto. Nel 1924 Kirsch porta una bozza di regolamento. “Quando in un’udienza per me memorabile, gli presentai il progetto”, racconta Kirsch, “il Santo Padre ne prese una copia, lasciando l’altra a me, e servendosi di un lapis, mentre me ne dava un altro, sul tavolo della Sua biblioteca, fissò le indicazioni e le norme per il regolamento dell’Istituto.” L’11 dicembre 1925, festa di San Damaso, il papa firma il Motu Proprio di fondazione.
Il primo anno accademico si apre a novembre del 1926. Viene inaugurato con una messa nelle Grotte Vaticane, seguita da un’udienza da Pio XI. Kirsch è il primo rettore e tiene una prolusione in cui descrive lo scopo dell’archeologia cristiana: “una scienza storica, basata sullo studio metodico delle fonti”; il primo scopo è di insegnare il metodo per studiare le fonti monumentali sulla Chiesa antica: il secondo, di ricostruire la vita della Chiesa antica. Kirsch esprime così il convincimento suo, di Pio XI e di buona parte della Chiesa cattolica dell’epoca, che la vita della Chiesa primitiva dovesse essere di ispirazione e riferimento per la Chiesa di oggi.
Le lezioni iniziano a metà novembre 1926 nell’ex convento di Sant’Antonio vicino a S. Maria Maggiore, che da quell’anno ospita anche il Pontificio istituto di studi orientali, che poi prenderà tutto l’edificio.
Ma l’edificio del PIAC è già in costruzione da diversi mesi. Torniamo alla fine del 1925. “Dopo la pubblicazione del regolamento” Kirsch rivede Pio XI e parlano dell’edificio: forse già alla fine di dicembre del 1925? “Adesso abbiamo la soluzione”, esclama il papa, nel racconto di Kirsch. “Tolse da un armadio la pianta dell’area dell’ex convento di S. Antonio, per l’acquisto della quale la Santa Sede stava il relazione colla città di Roma, e con un lapis rosso disegnò, nel grande giardino dietro il convento, le linee per la costruzione dell’edificio dell’Istituto…”. E’ stato quindi in qualche modo Pio XI stesso a disegnare l’edificio, anche se poi sarà l’ingegnere Leone Castelli a prepararne il progetto dettagliato.
Il 6 febbraio 1926 il cardinal vicario Basilio Pompilj pone la prima pietra dell’Istituto nel giorno anniversario dell’elezione di Pio XI.
La costruzione comporta anche lo scavo delle strutture antiche trovate sotto terra, che poi saranno pubblicate sulla Rivista dell’Istituto. Dopo due anni di lavoro, il palazzo viene inaugurato il 11 febbraio del 1928, anniversario della prima apparizione di Lourdes, data molto cara a Pio XI, scelta anche l’anno dopo per i Patti Lateranensi del 1929.
La sede dell’Istituto ci si presenta ora appena restaurata grazie all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. La sua architettura non riprende nessun elemento paleocristiano. Invece si colloca nella grande tradizione dell’architettura rinascimentale. Tutto l’edificio si basa sull’ordine tuscanico, l’unico ordine romano totalmente assente nell’architettura paleocristiana. Il tuscanico sarebbe il dorico romano, dove il capitello dorico si pone sopra una colonna liscia, non scanalata come nel dorico greco. Nel dorico romano è anche frequente il tondo decorativo che è stato usato per decorare le scale monumentali.
Nelle scale monumentali si nota anche l’uso di archi su pilastri. E’ stato il rinascimento con Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria a decretare il ritorno all’ordine romano tradizionale: colonnato va con architrave, come nella Basilica Emilia, arcata va con pilastri, come nella Basilica Giulia. Così si abbandona ciò che rimane una parentesi millenaria, tardoantica, paleocristiana e medievale: l’arcata su colonne, come a S. Sabina.
Così l’edificio si colloca con decisione nell’orizzonte degli ordini classici, che mi piace sottolineare compongono un linguaggio universale, non solo occidentale, non esclusivo o escludente, che supera ogni confine etnico o religioso: così troviamo i capitelli corinzi nell’arte buddista del Ghandara nell’odierna Pakistan nel II secolo e in età islamica nella penisola iberica dell’XI secolo.
Lo stile dell’edificio ci dice: “Noi vediamo il passato con gli stessi occhi con cui il rinascimento ha riscoperto la cultura antica; non sono stretti occhiali ecclesiastici, ma ampi orizzonti culturali civili, umani, laici, che comprendono ANCHE la cultura della Chiesa antica.”
Il primo anno accademico 1926-1927 si apre con venti studenti ordinari e venti uditori. L’Istituto nasce internazionale. Il gruppo più grande di studenti erano i francesi, poi tedeschi e italiani, molti sono sacerdoti. Le iscrizioni riflettono il rinnovamento culturale della chiesa francese e tedesca che poi porterà al Concilio. L’Istituto era sottoposto direttamente al papa tramite il Segretario di Stato Pacelli, gran cancelliere dell’Istituto, che ne firmava i diplomi. Tra i primi studenti troviamo nomi importanti non solo per l’archeologia o la storia dell’arte, come il tedesco Theodor Klauser, ma anche per il rinnovamento della liturgia cattolica. La riforma liturgica sarà preparata dal docente PIAC di liturgia Dom Henri Quentin, come Relatore Generale della Sezione Storica della Sacra Congregazione dei Riti. Quentin, monaco di Solesmes, già dirigeva la commissione per la revisione della Vulgata. L’incarico alla Congregazione dei Riti lo porterà a dimettersi dall’insegnamento al PIAC. Gli succederà il suo studente PIAC Ferdinando Antonelli, che poi sarà segretario della Commissione per la liturgia del Concilio. Tra gli studenti PIAC dei primi anni troviamo anche Annibale Bugnini, impegnato in prima linea nella riforma postconciliare e Segretario della Congregazione del Culto Divino, che aveva studiato liturgia al PIAC come allievo di Erik Peterson, importante teologo evangelico luterano convertito al cattolicesimo nel 1930.
Gli anni del Concilio saranno poi un momento particolarmente importante anche per il PIAC. Il nuovo rettore dal 1961, il domenicano francese Félix Darsy, era stato anche incaricato da Jacques Maritain, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede dopo la guerra, di dirigere il nuovo Centro culturale S. Luigi dei Francesi. Padre Darsy crea un nuovo corso divulgativo, aperto al pubblico e agli studenti delle università pontificie. Il corso raccoglie subito centinaia di studenti da molti paesi ogni anno. Oggi, dopo più di mezzo secolo, quel corso continua, e le lezioni del corso sono state raccolte in un volume che possiamo presentare oggi.
Il rinnovamento cattolico nel Novecento, culminato nel Concilio, è passato attraverso “l’aggiornamento” di Giovanni XXIII ma anche attraverso il “ressourcement”, il ritorno alle sorgenti, ed è lì che si capisce il senso della fondazione del PIAC agli occhi della Santa Sede. Finché la Chiesa cattolica continuerà a credere anche nel “Ressourcement” e non solo nell’”Aggiornamento”, sarà facile capire perché la Santa Sede ha un Istituto di Archeologia Cristiana. Per dirlo con le parole di Félix Darsy: “per illuminare con la luce della verità la Chiesa così come era, per permettere di capire meglio la Chiesa di oggi e per realizzare meglio quella di domani.”
* Olof Brandt professore di architettura cristiana antica Piac