Libia vicino alla guerra civile
Le forze fedeli all’ex generale Khalifa Haftar hanno intimato ai civili di abbandonare un quartiere centrale di Bengasi, capoluogo della Cirenaica dove si combatte dal mese scorso. Secondo fonti ospedaliere, dall’inizio dei combattimenti a Bengasi il mese scorso le vittime sono state circa 200. Ed a causa dell’inasprirsi del conflitto tra gruppi armati rivali in molte aree della Libia, un numero sempre maggiore di persone è costretto alla fuga: si stima che siano 287.000 in 29 città e paesi su tutto il territorio nazionale.
L’assistenza sanitaria, il cibo e altri generi di prima necessità sono diventate esigenze fondamentali. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e i suoi partner si stanno adoperando per soddisfare alcune di queste esigenze, ma ci sono considerevoli restrizioni nei finanziamenti destinati agli sfollati, e le condizioni di instabilità degli ultimi mesi hanno reso difficile raggiungere chi si trova in situazione di bisogno.
La principale area interessata dai recenti flussi migratori è situata nei dintorni di Warshefana, alla periferia di Tripoli, dove i combattimenti hanno spinto circa 100.000 persone a fuggire nelle ultime tre settimane. Tra le zone più colpite c’è anche l’area di Benina, alla periferia di Bengasi dove si stima che gli sfollati siano circa 15.000. La maggior parte delle persone sfollate vive presso famiglie del luogo che in alcuni casi hanno aperto le loro case a più famiglie contemporaneamente per cercare di far fronte alle crescenti necessità di riparo.
Le persone che non riescono a stare con parenti o famiglie ospitanti dormono in scuole, parchi o edifici non residenziali convertiti in rifugi di emergenza. Ajaylat, che conta quasi 100.000 abitanti, ospita attualmente circa 16.000 sfollati, cioè oltre il 10% della popolazione locale, con pesanti conseguenze sulle strutture sanitarie. L’ospedale principale segnala un aumento del 30% dei casi e l’assenza di scorte di medicinali e di farmaci per malattie croniche come l’ipertensione e il diabete. Altre città della Libia occidentale e Bengasi hanno difficoltà simili.
I conflitti hanno conseguenze tanto sulla popolazione locale, come sui rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti in Libia, molti dei quali provengono da paesi del Medio Oriente e dall’Africa sub-sahariana. L’illegalità e un recente raddoppio dei prezzi dei prodotti alimentari ha costretto molte persone disperate a fuggire. La politica della Libia di detenzione di rifugiati e migranti ha spinto molti a mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti per cercare di arrivare in Europa, andandosi ad aggiungere alle decine di migliaia di persone che in questi mesi sono transitate in Libia e hanno intrapreso la pericolosa traversata del Mediterraneo.
Degli oltre 165.000 rifugiati arrivati sulle coste europee finora nel corso dell’anno, la maggioranza è partita dalla Libia e di questi il 48% sono siriani ed eritrei. Nella World Watch List 2014, la Libia ha ricevuto 71 punti, 11 in più rispetto alla World Watch List del 2013. La condizione dei cristiani era già estremamente difficile, dunque è peggiorata, rendendo la Libia il peggior paese nordafricano nella classifica mondiale. La macchina della persecuzione che ha colpito i cristiani in Libia è guidata dall’estremismo islamico.
La maggior parte dei cristiani libici ha paura di incontrarsi con altri credenti, poiché qualunque tipo di riunione religiosa (diversa dall’Islam) è vietato. Agli stranieri residenti in Libia è permesso avere le proprie chiese, ma i libici non possono assolutamente frequentarle. La violenza contro i cristiani è aumentata nell’ultimo periodo colpendo sia i cristiani libici che gli stranieri. I Salafiti e altri gruppi islamici sono responsabili della maggior parte degli atti di violenza perpetrati.
E secondo un rapporto di Amnesty International, le milizie e i gruppi armati che si stanno scontrando nella Libia occidentale stanno commettendo gravi abusi, compresi crimini di guerra. Il rapporto, intitolato ‘La legge delle armi: rapimenti, torture e altri abusi da parte delle milizie nella Libia occidentale’, fornisce prove di esecuzioni sommarie, torture e maltrattamenti dei detenuti e attacchi dei gruppi armati contro la popolazione civile sulla base dell’origine e della presunta affiliazione politica.
Le immagini satellitari che accompagnano l’uscita del rapporto di Amnesty International mettono inoltre in evidenza il profondo disprezzo per le vite dei civili da parte di tutte le fazioni coinvolte negli scontri, con razzi indiscriminati e colpi di artiglieria diretti contro aree abitate che hanno danneggiato case, edifici civili e strutture mediche. Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International, ha dichiarato: “Nella Libia di oggi sono le armi a dettare legge.
I gruppi armati e le milizie, ormai fuori controllo, lanciano attacchi indiscriminati contro i centri abitati e si rendono responsabili di gravi abusi, compresi crimini di guerra, nella completa impunità… Compiere attacchi indiscriminati e prendere di mira strutture mediche sono atti proibiti dal diritto internazionale e possono costituire crimini di guerra. Ciò nonostante, tutte le parti in conflitto hanno lanciato razzi grad e hanno usato l’artiglieria per colpire centri densamente popolat”.
Nel rapporto è sottolineato che centinaia di civili sono stati rapiti dai gruppi armati a Tripoli, Zawiya, Warshafana e nei centri dei monti Nafusa e tenuti in ostaggio anche per due mesi in un’ondata di azioni di rappresaglia basate sulla residenza o sulla presunta affiliazione politica delle vittime e, in alcuni casi, per effettuare scambi di prigionieri, una prassi diffusa sin dall’inizio del conflitto, che risale al 13 luglio.