In Siria continua il massacro

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Nonostante la ‘primavera’ araba abbia provocato un senso di democrazia negli Stati arabi del Mediterraneo, con uno scardinamento delle gerarchie pluritrentennali, in Siria si assiste ad un massacro di cittadini non violenti, che manifestano per la democrazia, sotto un occhio sonnacchioso dell’Europa e del mondo occidentale in generale. Infatti sabato 30 luglio, alla vigilia del Ramadan e in una delle città simbolo della rivolta, Hama, i carri armati dell’esercito sono entrati all’alba e hanno compiuto un ‘massacro’: 100 morti, secondo testimoni diretti, almeno 80 per gli attivisti dell’organizzazione Sawasiah, la Bbc e altri media internazionali, centinaia i feriti.

Un bilancio solo parziale questo perché la repressione non ha risparmiato altre città dove si contano almeno altri 30 morti, secondo le cifre non sempre collimanti fornite dai media internazionali. L’agenzia ufficiale siriana Sana, che addossa la responsabilità degli scontri ‘a gruppi armati’, parla solo della morte di due militari nell’incendio di posti di polizia. Un testimone diretto ha riferito di aver assistito ad un vero e proprio ‘massacro’, i morti ‘sono oltre 100’.  L’eco del massacro si è rapidamente propagato nel paese e a Deraa, altra città simbolo della rivolta nel sud del paese, centinaia di persone hanno protestato all’uscita dalla moschea principale ma le forze di sicurezza sono intervenute uccidendo altre tre persone, secondo alcuni attivisti. Mentre il sito d’informazione ‘Al Arabiya’ ha scritto: “La Siria comincia il mese sacro del Ramadan in un clima cupo dopo l’incursione delle truppe su Hama, già teatro di un massacro nel 1982.

Si è trattato di una delle giornate che ha visto il più alto numero di morti negli ultimi cinque mesi di rivolta contro il presidente Bashar Al Assad”. Intanto, il presidente siriano, Bashar al Assad, si è congratulato con l’esercito del Paese, definito ‘patriottico’: Saluto ciascun (soldato) e con lui mi congratulo in occasione del 66^ anniversario della creazione dell’esercito arabo siriano (…) che difende i suoi diritti di fronte ai piani aggressivi che ci riguardano”.  Nella riunione di lunedì scorso all’ONU non è stato raggiunto nessun accordo per una condanna unanime alla violenta repressione messa in atto dal regime di Damasco contro i manifestanti. Durante le discussioni a porte chiuse, un alto responsabile ha detto che in Siria, oltre ai circa 150 morti dello scorso week end, si contano anche 3.000 scomparsi e circa 12.000 persone imprigionate. Inoltre, l’Unione Europea ha annunciato l’applicazione ‘imminente’ di nuove sanzioni verso il regime di Assad. Il ministro degli esteri Franco Frattini ha richiamato per consultazioni l’ambasciatore italiano in Siria, per ‘dare un forte segnale di riprovazione per le inaccettabili repressioni operate dal regime siriano’.

Il Paese confinante, la Turchia, ha nuovamente chiesto “la fine delle operazioni militari e l’avvio di metodi politici, verso il dialogo o altre iniziative pacifiche per trovare una soluzione, soprattutto in questo periodo di Ramadan”. Infine Amnesty International condanna il regime repressivo siriano al potere da 40 anni: “Sfidando numerosi rischi, manifestano nonostante dal 18 marzo siano state uccise 1200 persone. Durante le manifestazioni, che sono state nella stragrande maggioranza  pacifiche, le persone cantavano ‘Selmieh, Selmieh’ (‘In pace, in pace’) malgrado la violenza che subivano. Anche se hanno adottato alcune riforme, che appaiono solo di facciata, le autorità siriane hanno represso le proteste nel sangue. Le forze di intelligence e di sicurezza, l’esercito, le milizie filogovernative sono state impiegate per sopprimere le richieste di cambiamento. Molte delle vittime sembrano essere state uccise da colpi di armi da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza e dall’esercito siriano nel corso di manifestazioni pacifiche; carri armati hanno bombardato molte aree residenziali in città e villaggi.

Migliaia di persone hanno cercato rifugio dalla violenza nei paesi vicini, soprattutto in Turchia e Libano. Gli arresti, e la paura degli arresti, fanno ormai parte della vita quotidiana dei siriani; migliaia di persone sono state arrestate nel corso di questi mesi e centinaia sono detenute in isolamento, rischiando torture e altri maltrattamenti. Sono state arrestate le persone che si crede abbiano organizzato le proteste o che le abbiano sostenute apertamente, sia in pubblico sia promuovendole su Internet o altrove. Fra queste, anche politici e attivisti per i diritti umani, imam di moschee e giornalisti. Gli arresti di massa e l’uso intensivo della tortura hanno costretto molti politici e attivisti per i diritti umani a nascondersi”.

 

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