Don Enzo Bottaccini spiega i motivi del sinodo sulla famiglia

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Nel documento preparatorio della III assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, dedicato alle sfide pastorali sulla famiglia, che si è  aperto ieri, si può leggere: “Si profilano oggi problematiche inedite fino a pochi anni fa, dalla diffusione delle coppie di fatto, che non accedono al matrimonio e a volte ne escludono l’idea, alle unioni fra persone dello stesso sesso, cui non di rado è consentita l’adozione di figli. Fra le numerose nuove situazioni che richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa basterà ricordare:

matrimoni misti o inter-religiosi; famiglia monoparentale; poligamia; matrimoni combinati con la conseguente problematica della dote, a volte intesa come prezzo di acquisto della donna; sistema delle caste; cultura del non-impegno e della presupposta instabilità del vincolo; forme di femminismo ostile alla Chiesa; fenomeni migratori e riformulazione dell’idea stessa di famiglia; pluralismo relativista nella concezione del matrimonio; influenza dei media sulla cultura popolare nella comprensione delle nozze e della vita familiare;

tendenze di pensiero sottese a proposte legislative che svalutano la permanenza e la fedeltà del patto matrimoniale; diffondersi del fenomeno delle madri surrogate (utero in affitto); nuove interpretazioni dei diritti umani. Ma soprattutto in ambito più strettamente ecclesiale, indebolimento o abbandono della fede nella sacramentalità del matrimonio e nel potere terapeutico della penitenza sacramentale”.

Quindi molta ‘carne’ sul fuoco. Per capire veramente la posta in gioco abbiamo incontrato don Enzo Bottacini, vice direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei: quali sono i motivi veri della convocazione di un sinodo per la famiglia?
“I motivi veri sono quelli di cogliere le sfide che il tempo di oggi offre alla famiglia e mettersi in sintonia con i segni dei tempi, che ci vengono raccontati dalla società di oggi, e siamo chiamati a leggerli per quanto riguarda la famiglia come piccola chiesa domestica, ma anche come segno visibile per la costruzione della società”.

Gli orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio ed alla famiglia della Cei quindi sono un passo avanti rispetto alla sola preparazione matrimoniale?
“Certo! E’ un passo in avanti, perché in 20 anni di riflessione sulla pastorale familiare si è puntato soprattutto sulla preparazione al matrimonio. Invece, questi orientamenti allargano l’orizzonte sia andando indietro nella preparazione remota e quindi curando di più l’educazione all’amore dei giovani e sia andando avanti approfondendo il cammino mistagogico del matrimonio. Quindi la domanda di fondo potrebbe essere: cosa avete celebrato e cosa siete diventati?”.

Il rito del matrimonio è leggermente cambiato da ‘io prendo te…’ ad ‘io accolgo te…’. Quanto può incidere questa piccola differenza nella vita della famiglia?
“Può incidere molto nella logica di papa Francesco, quando dice le tre parole ‘permesso, grazie, scusa’, ed in particolare nell’approfondimento della prima parola (‘permesso’) per riconoscere l’altro come terreno da esplorare, ma soprattutto come un mistero: l’altra persona è un mistero! E’ proprio quel profumo di familiarità che scaturisce dalla fecondità dello Spirito Santo, il vero motore della comunione, che porterà attraverso le famiglie nuovo ossigeno alle nostre comunità ecclesiali.

E’ quindi attraverso la piccola chiesa domestica che la comunità parrocchiale potrà rigenerarsi. Così, l’investimento a servizio delle famiglie potrà anche sostenere il primato educativo dei genitori che, in molti casi, attualmente viene, perlomeno in parte, disatteso, soprattutto per la crescita spirituale dei propri figli. Si spendono infatti notevoli energie per offrire ai propri figli i beni materiali, anche a costo di grandi sacrifici, ma non sempre c’è la stessa premura nell’accompagnare la loro vita spirituale”.

Allora quali percorsi parrocchiali per la famiglia occorre attuare?
“La comunione fra presbiteri e sposi è ciò che guarisce dalla malattia delle società tecnologiche, che è la solitudine. Molti sacerdoti soffrono questo male e molte famiglie rischiano l’isolamento. Così coniugi e sacerdoti insieme, in comunione, diventano la luce che apre a un futuro di speranza. Non lasciamoci rubare la speranza!, come ha affermato papa Francesco nella domenica delle Palme dello scorso anno.

Per realizzare tutto questo non abbiamo in mente la famiglia felice che al mattino fa colazione con il sorriso, come vediamo in televisione, ma coppie di sposi consapevoli della loro debolezza e che vivono in perenne stato di conversione. La bella immagine con la quale papa Francesco ha descritto la Chiesa come ‘un ospedale da campo’ non intende sbiadire la bella realtà del matrimonio, ma riconosce altresì che tutti siamo peccatori salvati e che spesso tante persone hanno bisogno di aiuto. Spesso ci sentiamo totalmente inadeguati di fronte ad una coppia o ad una famiglia in difficoltà: non sappiamo trovare le parole, non sappiamo cosa dire.

Lo Spirito stesso ci viene in aiuto e ci dona le parole giuste al momento giusto perché possiamo sostenere, accompagnare ed incoraggiare le tante situazioni di fatica delle famiglie di oggi. Allo stesso tempo occorre che tutta la comunità sia sempre una casa accogliente con le persone che vivono tali situazioni evitando giudizi sommari e offrendo sempre ascolto e comprensione. La porta di ingresso per tante persone che si sono allontanate dalla fede possiamo essere proprio noi!

Non perdiamo questa bella occasione. Questo sguardo ci dona la speranza che gradualmente l’intera comunità cristiana cresca nella fede e nell’attenzione alla famiglia, ancor più se si tratta di una famiglia ferita, perché ognuno possa rinascere nello spirito per riscoprire la bellezza del Vangelo del matrimonio e della famiglia e annunciarla a tutti”.

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