Come raccontare la mobilità umana?
Giovedì 18 settembre si è conclusa all’Oasi Madonna di Roca, in provincia di Lecce, la quinta edizione della Summer School ‘Mobilità umana e giustizia globale’, organizzata dall’Università Cattolica e dall’ordine degli Scalabriniani, che si è caratterizzato per una sorta di ‘riposizionamento’ di prospettiva, collocando l’analisi dei processi di mobilità umana all’interno di una riflessione più ampia, che rinvia appunto alla questione della giustizia globale, letta in tutte le sue implicazioni: economiche, politiche, sociali, culturali ed etiche.
Questa edizione ha focalizzato l’attenzione su un tema cruciale per il destino dei migranti e la qualità della convivenza: quello delle parole attraverso le quali le società d’origine e di destinazione, le istituzioni, i diversi media e la gente comune, gli stessi migranti e coloro che con essi interagiscono definiscono, rappresentano e comunicano il fenomeno della mobilità umana e dell’immigrazione.
Un linguaggio ‘brutto’ è il riflesso di un pensiero sciocco, ma la sciatteria del linguaggio alimenta i pensieri sciocchi: questa consapevolezza dovrebbe renderci più attenti alle conseguenze di un uso disinvolto di un cattivo linguaggio e impegnarci a proporre una nuova ‘deontologia delle parole’ che favorisca la lettura obiettiva dei fenomeni e delle loro implicazioni e la positiva evoluzione dei rapporti interetnici.
Attraverso gli interventi di studiosi ed esperti, la presentazione di ricerche, iniziative e testimonianze, la realizzazione di laboratori interattivi, la scuola ha offerto ai partecipanti un’occasione di crescita culturale, professionale e umana, prendendo le distanze dagli argomenti usualmente strumentalizzati dal dibattito politico, ma anche proponendo un ‘salto di qualità’ rispetto alle letture semplicistiche che si danno dei fenomeni migratori, dei loro protagonisti e del loro governo.
Nel ricordo di p. Beniamino Rossi, missionario scalabriniano e presidente dell’ASCS (Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo), sostenitore della Summer School scomparso l’anno scorso, la professoressa Laura Zanfrini, docente di Sociologia della convivenza interetnica all’Università Cattolica di Milano, ha aperto le giornate di studio con una lezione magistrale attraverso la quale ha fissato con chiarezza i termini in gioco: “Definire l’immigrato vuol dire tracciare un confine…e, cosa peggiore, è l’attribuire a questa ‘finzione’ anche una caratteristica di naturalità”.
Paolo Bustaffa, già direttore del Sir, ha puntato l’attenzione sull’importanza della coscienza individuale che ormai, troppo spesso, si perde nell’opinione. Questo atteggiamento non contribuisce a restituire e comunicare il bene, il buono e il bello di questo mondo. Occorre trovare urgentemente il linguaggio giusto per veicolare anche le belle notizie, le buone pratiche in atto che generalmente non trovano spazio nei media tradizionali e più diffusi. Nella giornata conclusiva il Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, padre Gabriele F. Bentoglio, è intervenuto sul tema ‘Ero straniero e mi avete accolto… Il linguaggio del Magistero’.
Facendo riferimento ad alcuni tra i principali pronunciamenti del Magistero della Chiesa sulla pastorale della mobilità umana, che guidano la sua sollecitudine pastorale per i migranti, i rifugiati, i profughi e le persone soggette al traffico (trafficking) e alla tratta (smuggling) di esseri umani, P. Bentoglio ha sottolineato che il linguaggio del Magistero non ha sempre la medesima tonalità: ora precettivo, ora asseverativo, ora esortativo o spirituale, esso tende in ogni caso a denunciare le cause del disagio sociale e a raccomandare misure di risposta.
Si tratta comunque di un linguaggio che evidenzia importanti acquisizioni teologiche e pastorali, che vengono affermate con espressioni come la centralità della persona, la sua dignità anche in condizioni di irregolarità, la difesa dei diritti del migrante e del rifugiato, la dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni stesse, il contributo pastorale dei laici, degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, il valore delle culture nell’opera di evangelizzazione, la tutela e la valorizzazione delle minoranze, anche all’interno delle strutture della Chiesa locale, l’importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale e, infine, lo specifico contributo che le migrazioni possono offrire al bene comune universale.
Nella premessa dell’intervento il relatore ha sottolineato che “le migrazioni contemporanee costituiscono il più vasto movimento di persone di tutti i tempi. Oggi tale fenomeno coinvolge circa 232.000.000 di lavoratori migranti, 16.000.000 di rifugiati, quasi 30.000.000 di sfollati interni a causa di conflitto o di persecuzione, a motivo di disastri ambientali e come conseguenza dell’avvio di progetti di sviluppo. Il quadro generale conferma un evento divenuto strutturale, a livello mondiale, e costituisce una realtà complessa che tocca la dimensione sociale, culturale, politica, economica, religiosa e pastorale”.
Ma la Chiesa è sempre stata sollecita nei confronti dei migranti, fin dalla Costituzione apostolica del 1952, ‘Exsul Familia’, passando attraverso i pronunciamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, alla ‘De Pastorali migratorum cura’ (Istruzione del 1969) e alla successiva normativa canonica, fino alla ‘Erga migrantes caritas Christi’ (Istruzione del 2004), per giungere al documento ‘Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate’, pubblicato lo scorso anno in collaborazione tra il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti e il Pontificio Consiglio Cor Unum. Nell’excursus biblico padre Bentoglio ha sottolineato la centralità della persona, in quanto creata ad immagine di Dio, richiamando l’enciclica ‘Pacem in Terris’:
“E da allora la Chiesa cattolica non ha smesso di rivolgere appelli in loro favore alla comunità internazionale e di invocare a tal fine la solidarietà e la collaborazione di tutti i cristiani e di tutte le persone di buona volontà. Si tratta di raccomandazioni che abbracciano tutti coloro che sono coinvolti nei fenomeni migratori, a prescindere dal loro status giuridico.
Nel caso di chi è privo di documentazione legale, la Chiesa preferisce parlare di irregolarità ed evitare la qualifica della clandestinità, che porta con sé un tono negativo, quasi che si possa istituire l’equazione che identifica un irregolare con un criminale. D’altra parte, accanto ai diritti, la Chiesa pone anche i doveri che spettano a tutti, compresi migranti, richiedenti asilo e rifugiati”. Citando l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’, il relatore ha sottolineato che l’azione della Chiesa non è buonismo, ma ‘realistico sforzo di lettura dei fatti’:
“La Chiesa, in effetti, mette in evidenza che l’incontro con Dio avviene nella storia, dove Dio, per darsi a conoscere all’uomo, sceglie di farsi straniero non per restargli estraneo, ma per permettergli un itinerario di reciproca conoscenza e di comunione. Soprattutto in Gesù Cristo, la Trinità assume il volto dell’estraneità per incontrare ogni uomo e permettergli di diventare ‘concittadino dei santi e familiare di Dio’.
Ecco, allora, che la fede spinge verso il superamento delle categorie etniche e nazionali verso una nuova identità… In questa linea si comprende che il tema di ‘Gesù straniero’ diventa costitutivo della Chiesa stessa… Quando riconosce di essere povera come lo sono i migranti, la Chiesa si struttura nella povertà, che le consente di essere accogliente verso i poveri e di essere riconosciuta dai poveri”.