Papa Francesco arrivato in Corea. “Trasmettiamo ai giovani la pace”

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Quando il Papa è arrivato, la Corea del Nord ha inviato tre missili di corta gittata nel Mar del Giappone. E la Cina, che pure ha concesso lo spazio aereo per la prima volta nella sua storia al Papa, ha impedito ai suoi giovani di partecipare alla Giornata Asiatica della Gioventù. C’è ancora la Guerra Fredda, nella Corea dei martiri cristiani, della testimonianza della gioia della fede e allo stesso tempo della sofferenza. E Papa Francesco, spiegando alle autorità coreane i motivi del suo viaggio (la beatificazione dei primi martiri, appunto, e la Giornata Asiatica della Gioventù) sottolinea che è “particolarmente importante trasmettere ai giovani il dono della pace”.

“Tutte le volte che i giovani si riuniscono, come in questa circostanza, è una preziosa opportunità offerta a tutti noi per porci in ascolto delle loro speranze e delle loro preoccupazioni. Siamo anche chiamati a riflettere sull’adeguatezza del modo di trasmettere i nostri valori alle future generazioni e su quale tipo di società ci stiamo preparando a consegnare loro,” dice – parlando in inglese –  Papa Francesco.

Prima di parlare, il Papa si incontra privatamente con il presidente Park, due ministri del governo coreano, il Cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato, e il nunzio apostolico mons. Padilla. Poi, con un po’ di ritardo, entra nella hall della Blue House. Davanti a lui, la presidente della Corea Park, che contrariamente alle attese lo è andato ad aspettare in aeroporto e che tiene un breve discorso di benvenuto, e diplomatici, autorità civili della Corea. Rappresentano una Corea dalle due facce. La presidente è stata accusata di brogli elettorali, i politici sono sempre più nel mirino della gente comune perché vengono accusati di essere corrotti, i grandi agglomerati industriali che pure fanno la crescita economica quasi inarrestabile della Corea portano alla chiusura di fabbriche, alla deturpazione dell’ambiente.

Papa Francesco sottolinea che “l’esperienza ci insegna che in un mondo sempre più globalizzato, la nostra comprensione del bene comune, del progresso e dello sviluppo deve in definitiva essere non solo di carattere economico, ma anche umano”. E ricorda che “come la maggior parte delle nazioni sviluppate, la Corea si confronta con rilevanti problematiche sociali, divisioni politiche, diseguaglianze economiche e preoccupazioni in ordine alla gestione responsabile dell’ambiente”.

E allora il Papa chiede che “sia data speciale attenzione ai poveri, a coloro che sono vulnerabili e a quelli che non hanno voce, non soltanto venendo incontro alle loro immediate necessità, ma pure per promuoverli nella loro crescita umana e spirituale”.

È un discorso che sembra strizzare l’occhio al lavoro svolto dall’Associazione dei Preti per la Giustizia e per la Pace, che tantissimo hanno fatto nelle strade e che ora si sentono messi da parte della stessa Chiesa coreana. Ma le situazioni sono complicate, forse la prudenza è un’arma necessaria in una regione in cui spirano ancora i venti della Guerra Fredda. Sono questi preti che vanno nelle strade a dire Messa con i disoccupati, e che sono tra quanti promuovono le manifestazioni contro una base militare USA di recente installazione.

La Corea del Sud viene definita “la terra del calmo mattino” e così la definisce anche il Papa, consapevole però che la sua eredità nazionale “è stata messa alla prova nel corso degli anni dalla violenza, dalla persecuzione e dalla guerra. Ma, nonostante queste prove, il calore del giorno e l’oscurità della notte hanno sempre dato luogo alla calma del mattino, cioè ad un’immutata speranza di giustizia, di pace e unità”.

Papa Francesco ha parlato di pace e riconciliazione anche nel breve incontro con la presidente Park nell’aeroporto militare dove è atterrato, al termine di un volo in cui è andato a salutare i giornalisti e a pregato con loro per la morte a Gaza del reporter Simone Camilli, e poi si è messo a salutare i giornalisti. Gesti con i quali il Papa vuole ristabilire la “normalità” del pontificato, tutti molto ben ponderati, come quello di portarsi da solo la borsa nera in aereo.

Arrivato nella “Blue House”, ha poi ripreso il tema della pace, la necessità di trasmettere il valore della pace ai più giovani, nel nome di una cultura degli antenati che “hanno subito il martirio della fede”, e che “ci insegnano a vivere pienamente per Dio e per il bene del prossimo”.

L’appello per la pace, dice il Papa, “ha un significato del tutto speciale qui in Corea, una terra che ha sofferto lungamente a causa della mancanza di pace.” Il Papa apprezza gli sforzi per la riconciliazione in Corea, sottolinea che “la ricerca della pace da parte della Corea è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra,” afferma che “la ricerca della pace rappresenta una sfida per ciascuno di noi e in particolare per quelli tra voi che hanno il compito di perseguire il bene comune della famiglia umana attraverso il paziente lavoro della diplomazia”.

Il Papa che ha fatto della preghiera uno strumento diplomatico valorizza comunque il lavoro diplomatico tout court, che affronta “la perenne sfida di abbattere i muri della diffidenza e dell’odio promuovendo una cultura di riconciliazione e solidarietà”. “La diplomazia, infatti, come arte del possibile, è basata sulla ferma e perseverante convinzione che la pace può essere raggiunta mediante il dialogo e l’ascolto attento e discreto, piuttosto che attraverso reciproche recriminazioni, critiche inutili e dimostrazioni di forza”.

Ricorda, Papa Francesco, che “la pace non è semplicemente assenza di guerra, ma opera della giustizia” e che “la giustizia, come virtù, fa appello alla tenacia della pazienza: essa non ci chiede di dimenticare le ingiustizie del passato, ma di superarle attraverso il perdono, la tolleranza e la cooperazione”.

Il compito che affida il Papa alla Corea del Sud è impegnativo: il rafforzamento della democrazia, perché la nazione primeggi nella “globalizzazione della solidarietà”, “quella solidarietà che ha come obiettivo lo sviluppo integrale di ogni famiglia umana”.

Da parte sua, riecheggiando le parole di Giovanni Paolo II, Francesco sottolinea che la Chiesa vuole essere parte della vita della nazione, contribuire all’educazione dei giovani, alla crescita dello spirito di solidarietà per poveri e svantaggiati, alla formazione di nuovi generazioni di cittadini pronti a “portare la saggezza e la visione ereditata dai loro antenati, e nate dalla loro fede, alle grandi questioni politiche e sociali che affronta la nazione”.

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