Due “Coree” un solo popolo, l’impegno della Chiesa per la riunificazione
Filo spinato, torrette di avvistamento, check point, cemento che divide, tunnel che feriscono la terra, ma anche migliaia di foglietti colorati con messaggi che cercano la pace e le famiglie rimaste spezzate che cercano di riprendersi. I muri che in Europa sono crollati non lo sono in Asia, continente difficile da decifrare per noi, con riti tanto antichi quanto forti. Così nonostante la fine della guerra fredda la ferita che divide un popolo unito per millenni e che corre lungo il 38esimo parallelo è sempre aperta. 70 milioni di persone spezzate a metà. Dal 1948 anno di nascita delle “due Coree” e poi con la fine della guerra nel 1953. Un numero mai precisato di morti, 400.000 sudcoreani, 55.000 americani e forse un milione fra morti e feriti per la Corea del Nord e la Cina. Perchè dalla Corea del Nord le notizie da allora filtrano in modo totalmente misterioso. Gli “ospiti” vengono sempre accompagnati, anche in Chiesa. Tanto che non si sa quanti e chi siano i cristiani. Lo stato mette in scena addirittura delle pseudo messe per dimostrare che c’è libertà di culto.
Ma nel cuore dei coreani la Corea è una sola. E sono in attesa. “Se non c’è patria, non esisto”. E’ la frase impressa nel cippo marmoreo che accoglie i turisti stranieri che vengono da ogni angolo del mondo per toccare con mano il dramma di un popolo diviso. Ma il muro per la Chiesa, non è mai esistito e che”, dice Padre Eun Hyung Lee della diocesi frontaliera di Ui jeong bu, “una volta abbattuto saremo lì a fare la nostra parte. Come abbiamo sempre fatto”.
Per questo uno dei momenti più attesi del viaggio del Papa in Corea è la messa per la riconciliazione. Padre Gerard Hammond, Missionario di MaryKnoll spiega: “Io sono un prete ed ho un passaporto americano. Non mi interessano gli affari interni del regime del Nord. Ma proprio come sacerdote, per quel che rappresento, devo essere un esempio e dare una speranza a chi soffre”. Padre Gerard riesce con il suo passaporto a passare due tre volte l’anno la frontiera. Lo fa sotto le insegne di “Eugene Bell”, una fondazione protestante che consente anche ad una rappresentanza cattolica e atea di unirsi al gruppo per portare aiuti.
Sono molti i paesi che vogliono che la Corea rimanga divisa però. Oggi probabilmente per motivi economici più che ideologici. Secondo uno studio dello Hyundai Research Institute, se il confine delle due Coree venisse cancellato entro la fine del 2015 e la penisola diventasse un unico stato, nascerebbe una super potenza capace di diventare l’ottava più grande economia al mondo entro il 2050, scavalcando colossi come Germania e Gran Bretagna e con un reddito pro capite superiore a quello del Giappone. Attualmente il Sud è l’11esima potenza economica del pianeta.
Quella della riunificazione è una delle missioni più importanti della Chiesa locale, impegnata in prima linea in un programma di aiuti, grazie ad una Commissione speciale per la riconciliazione. Padre Timoteo Lee-Eun-Hyung, è membro della Commissione nella diocesi più vicina al confine: “La nostra Commissione ha diversi obiettivi, tra i quali il più importante è quello dell’evangelizzazione della Corea del Nord, dal momento che lì non c’è libertà di religione. Innanzitutto, però, prima cerchiamo di trovare un modo per tentare di scambiare almeno le notizie tra quello che avviene in Corea del Sud e quello che avviene in Corea del Nord, anche per condividere l’affetto che proviamo. Un’altra cosa che facciamo è quella di assistere la gente che scappa dalla Corea del Nord e giunge qui in condizioni terribili. Aiutiamo questa gente a stabilirsi qui, nella Corea del Sud”.
Eppure qualche piccolo segnale arriva. Lo scorso maggio l’arcivescovo di Seul, Card. Andrew Yeom Soo-jung, ha varcato la frontiera e ha compiuto una breve visita nella zona industriale di Kaesong, area dove, in base a un accordo fra i due Paesi, sorgono imprese e industrie in cui lavorano fianco a fianco cittadini di Nord e Sud Corea. Il breve viaggio del cardinale Yeom, che è anche amministratore apostolico di Pyongyang, ha avuto lo scopo di visitare il complesso, simbolo della cooperazione tra Nord e Sud e di incontrare i sudcoreani che vi lavorano, lasciando loro un messaggio di incoraggiamento e di speranza. La zona industriale di Kaesong è il più recente progetto di riavvicinamento transfrontaliero fra le due Coree che, tecnicamente, dopo l’armistizio siglato nel 1953, sono ancora in stato di guerra.
Fonte: SEDOC-RADIO VATICANA