Gestire i beni delle Congregazioni. Una circolare mette ordine

La circolare che delinea come gestire i beni delle Congregazioni religiose non rappresenta solo un necessario aggiornamento tecnico. Letta in controluce, la circolare diffusa a partire da oggi in un piccolo fascicolo della Libreria Editrice Vaticana affronta molti dei problemi del passato remoto ma anche del passato prossimo. E rappresenta forse uno schema da seguire per l’avviata riforma della struttura finanziaria vaticana. Con una linea guida: intraprendere una “rilettura della missione in funzione del carisma, verificando se l’identità carismatica delle istanze fondanti emerge dalle caratteristiche delle risposte operative”.
In pratica, si tratta di adeguare i mezzi alla missione. Un principio che forse è necessario ribadire, anche se è stato seguito da sempre. Tanto che Benedetto XVI aveva prima riformato la Caritas Internationalis con nuovi statuti che andavano a rafforzare la collaborazione tra l’istituzione e Santa Sede, delineava con maggiore chiarezza le competenze della Segreteria di Stato vaticana e dava appunto una visione da seguire sempre: la carità nella verità. La medesima visione alla base del Motu Proprio “De Caritate Ministranda”, con il quale Benedetto XVI intendeva fornire “un quadro normativo organico che servisse meglio ad ordinare le diverse forme ecclesiali organizzate al servizio della carità”. E la stessa Santa Sede, nelle considerazioni finali del rapporto di MONEYVAL del luglio 2012, ha voluto rimarcare che il percorso avviato era “coerente con la missione”.
Si inserisce in questa linea la lettera circolare firmata dal Cardinal Joao Braz de Aviz e dall’arcivescovo José Rodriguez Carballo, che fa seguito a un simposio celebrato nel mese di marzo 2014 e avente come tema appunto la gestione dei beni ecclesiastici.
“La situazione giuridica degli enti ecclesiastici è molto cambiata rispetto al passato, le relazioni con gli Stati sono diventate più difficili e gli addetti ai lavori dovranno obbligatoriamente provvedere una formazione più ampia e aggiornata con la nuova situazione,” si legge nel comunicato stampa della Libreria Editrice Vaticana, che ha pubblicato la circolare.
È proprio per andare oltre le difficili relazioni con gli Stati che le congregazioni religiose possono disporre di un conto all’Istituto delle Opere di Religione, come confermato dallo stesso istituto al termine della “fase 1” della sua riforma. Il modo in cui gestiscono il denaro è oggetto appunto della circolare.
Che chiede una maggiore programmazione, una definizione di quali opere e attività proseguire, attuando procedure che permettano una pianificazione delle risorse, con tanto di budget preventivi, controllo di gestione, piani pluriennali e proiezioni per prevenire eventuali problemi finanziario, un monitoraggio delle opere in deficit, sia attento alla sostenibilità, costruisca nuove strutture agili e facili da gestire.
La trasparenza è il principale obiettivo, perché – si legge nella circolare – “la testimonianza evangelica esige che le opere siano gestite in piena trasparenza, nel rispetto delle leggi canoniche e civili, e poste a servizio delle tante forme di povertà. La trasparenza è fondamentale per l’esperienza e l’efficacia della missione”.
Un tema che la Santa Sede ha chiaro da tempo, tanto che ha, passo dopo passo, rinnovato i criteri di gestione finanziaria, riformando gli enti finanziari e dando finalmente nell’ultimo anno un quadro normativo generale sulla finanza. Tra le raccomandazioni, c’è quella alle congregazioni di avere “un quadro chiaro di come vengono gestite tutte le opere all’interno di ogni Provincia, sia quelle di proprietà dell’Istituto, sia quelle promosse o di emanazione dell’Istituto”
In controluce, si leggono i problemi di alcune congregazioni religiose come i Legionari di Cristo, la cui gestione finanziaria era stata centralizzata nel Grupo Integer, con investimenti di cui gli stessi membri erano all’oscuro.
Non solo. Si chiede urgentemente di riconsiderare e approfondire la normativa canonica del “patrimonio stabile”, che non viene definito dal Codice di Diritto Canonico, e che presuppone “la nozione del concetto classico dei beni legittimamente assegnati” alla persona giuridica come dote permanente – siano essi strumentali e redditizi – per agevolare il conseguimento dei fini istituzionali e garantire l’autosufficienza economica.
Cosa è considerato un patrimonio stabile? Risponde la circolare: “i beni facenti parte della dote fo nazionale dell’ente; quelli pervenuti all’ente stesso; se l’autore della liberalità ha così stabilito; quelli destinati all’organo di amministrazione dell’ente”.
In nome della trasparenza, la circolare chiede agli istituti di fare un elenco dei beni di patrimonio stabile e soprattutto obbliga a introdurre il concetto di patrimonio stabile nelle costituzioni o almeno in un altro testo del Diritto proprio dell’istituto. Una obbligatorietà che serve anche a “salvaguardare la continuità dell’Istituto come persona giuridica pubblica”.
Applicando le normative di questa circolare, tutto viene inserito in un quadro normativo definito, rendendo anche i membri dell’istituto co-partecipi e co-responsabili delle questioni patrimoniali.
Ad esempio, viene anche proposto/raccomandato che il bilancio preventivo sia utilizzato “non solo per le opere, ma anche nelle comunità, come strumento di formazione alla dimensione economica per la crescita di una consapevolezza comune in questo ambito e di verifica del reale grado di povertà personale e comunitaria”.
È la necessità di formare professionisti interni alle stesse congregazioni. Perché “in quasi tutti gli Istituti, gli aspetti economici sono affidati ad una persona, la figura dell’Economo, cui si attribuisce un compito tecnico”. Ma questo “ha generato disinteresse nei confronti dell’Economia all’interno delle comunità, favorendo una perdita di contatto con il costo dellla vita e le fatiche gestionali e provocando, nella realtà che ci circonda, una dicotomia tra realtà e missione” .
Una dicotomia che non deve esserci, perché la gestione finanziaria non è mai fine a sé stessa. I nuovi economi dovranno fare rendicontazioni e bilanci secondo schemi internazionali uniformi. E per farlo sono consigliati di chiedere “il supporto a esperti qualificati orientati al servizio della Chiesa e a docenti del settore sia presso università Cattoliche sia altri atenei”. In questo primo anno di pontificato di Francesco, quando l’outsourcing era diventato lo strumento di consulenza privilegiato soprattutto per le realtà finanziarie, è apparsa piuttosto una predilezione verso consulenze provenienti dal mondo secolare, dalle grandi capacità tecniche ma con poca consapevolezza della missione della Chiesa. Poi, passo dopo passo, si è fatto il percorso inverso, verso i consulenti interni.
È una questione in via di superamento, a leggere questa circolare. Come è in via di superamento la questione dei costi delle consulenze esterne, molto elevate. La circolare chiede agli istituti un certo equilibrio. “Occorre – si legge nella circolare – tuttavia evitare due estremi: da una parte di non servirsi di consulenti per non spendere denaro, rischiando di incorrere in problemi legali, economici, fiscali; dall’altra di sperperare il denaro dell’Istituto nelle consulenze, talvolta intraprese senza discernimento, che non sempre si rivelano efficaci” .
Sono linee guida generali che saranno senz’altro utili nella definizione anche di una riforma del settore finanziario della Santa Sede. Una riforma nata in clima di spending review, che dà l’impressione di essere solo una riforma ad intra, piuttosto che orientata ad extra, alla missione. Ma molto c’è ancora da fare. D’altronde Papa Francesco, nel suo messaggio ai partecipanti al simposio lo scorso marzo, aveva proprio invitato a coniugare “la prioritaria dimensione carismatico-spirituale alla dimensione economica e all’efficienza, che ha un suo proprio humus nella tradizione amministrativa degli Istituti che non tollera sprechi ed è attenta al buon utilizzo delle risorse”.