Sudan, tre anni dopo la morte del vescovo Mazzolari

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Un uomo mite e passionale. Cesare Mazzolari, il vescovo del Sud Sudan ha compiuto la missione: dal 9 luglio del 2011  il paese è indipendente e lui ha festeggiato con quello che è il suo popolo da quando decenni fa è arrivato come missionario comboniano. Pochi mesi dopo si è spento mentre celebrava la messa. L’ ho incontrato un pomeriggio di maggio. Veniva presentato un libro che racconta la sua vita. Eravamo pochissimi. Eppure era bello sentirlo raccontare tutto il processo che ha portato alla creazione del nuovo stato. 

C’era una serenità anche nel raccontare il dramma dei cristiani che vivono nel nord e subiscono la sharia, in modo decisamente poco consueto.

“Io prevedo che siamo all’inizio di un’epoca nuova- ci disse in quell’incontro-di consolidamento del cristianesimo nel Sud Sudan, sono convinto e lo dicono anche le parole dell’ inno nazionale che dice: Dio ti ringraziamo per averci dato la Grazia! E sono parole che vengono dal cristianesimo!”

La Chiesa è stata presente assiduamente durante la guerra e quello che il Signore fa attraverso questa testimonianza della presenza solo Dio lo sa!

Eppure si sparge ancora sangue innocente, i cristiani sono cittadini di serie B nel Sudan ma anche nel nuovissimo stato del Sud Sudan. Davvero sembra non sia cambiato nulla. Ma il sangue dei martiri non è mai sparso invano. Anche quando il martirio è l’offerta spontanea di tutta una vita come quella di Cesare Mazzolari il vescovo africano nato a Brescia che in Sudan ha creato una fondazione che oggi sembra un sogno irrealizzato. Eppure proprio l’ Associazione ricorda il terzo anniversario della indipendenza. Un anniversario insanguinato da una grave crisi umanitaria e alimentare. “Il conflitto iniziato lo scorso dicembre tra governo e ribelli- si legge nel bollettino della associazione Cesar-  ha costretto in questi mesi più di un milione di persone a lasciare le proprie case, profughi spesso ammassati in campi di fortuna, senza più nulla, soccorsi dalle numerose Ong presenti sul territorio e dai volontari e missionari delle Diocesi.

Una crisi umanitaria che l’arrivo delle piogge ha reso esplosiva, con i primi casi di colera(2.488 casi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, con 59 morti accertati in 7 Stati del Sud Sudan) e quattro milioni di persone che stanno rischiando la fame. L’intero settore agricolo, infatti, è in ginocchio, gli scontri hanno impedito le semine e molti campi sono stati devastati e dunque la produzione di cereali è ferma, e le riserve di cibo sono quasi esaurite.

La crisi più grave potrebbe arrivare già ai primi di agosto. Il presidente Salva Kiir ha avvertito che il Paese rischia “una delle peggiori carestie della sua storia”, ai danni di almeno un quarto della popolazione. Già lo scorso maggio l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur)aveva in realtà avvertito che “il numero di civili in fuga continua ad aumentare e non si fermerà nelle prossime settimane, anche per fuggire dalla carestia”.

Il Disasters Emergency Committee inglese, che riunisce 13 grandi organizzazioni britanniche impegnate in Sud Sudan, ha lanciato un appello: per scongiurare la catastrofe, ormai alle porte, servono circa 194milioni di dollari, più del doppio dei finanziamenti attualmente disponibili per il Sud Sudan.”

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