Rifugiati, non oggetti di assistenza, ma soggetti di diritto

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Un anno dopo la visita di Papa Francesco a Lampedusa, mentre un’altra tragedia del mare si è consumata nel Mediterraneo, la Santa Sede ha fatto sentire ancora una volta la sua voce in favore dei rifugiati, chiedendo anche una “strategia comune europea”, perché “le nazioni di primo arrivo possano non essere forzate a portare l’intero peso (dell’accoglienza) tutte sole”. Lo ha fatto per bocca di Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, che ha preso parte lo scorso 1 luglio alla 60esim sessione dello ‘standing committee’ dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati.

E che questa sia la line assunta dalla Santa Sede lo dimostrano anche le parole del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio dei Migranti, che ha detto Messa a Lampedusa ad un anno dalla visita di Papa Francesco, e ha chiesto tra le varie cose di “creare un mondo più giusto e umano”. I mezzi per creare questo mondo più giusto e umano sono discussi, a livello diplomatico, proprio dai nunzi pontifici sparsi in tutto il mondo. E i principi da considerare sono quelli che il nunzio Tomasi ha snocciolato nel suo breve intervento.

Un intervento che prende le mosse da una cifra: sono oltre 50 milioni le persone che, dalla Seconda Guerra Mondiale, sono stati costretti a lasciare le loro case. E le “cause di questa tragedia sono diventate troppo familiari: persecuzioni, violazione di diritti umani, conflitti armati, estrema povertà che mette a rischio la vita”, senza considerare poi anche quelli che sono stati costretti a lasciare casa “a causa di disastri naturali e situazioni di sviluppo su larga scala”.

Richiamando le parole del primo Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Gerrit Jan van Heuven Goedhar (il quale sottolineava che si tratta di “trovare un piccolo posto, che non sia solo un tetto sulla testa di una persona, non solo un posto in cui vivere”), Tomasi sottolinea che “siamo tutti sfidati ad assicurare a tutte le persone sradicate di poter ritrovare almeno un minimo di libertà e dignità”.

Perché – dice Tomasi con forza – “i rifugiati e i profughi sono soggetti di diritti e doveri come tutti gli esseri umani, e non meramente gli oggetti di assistenza. Meritano protezione, che dovrebbe tradurre in concrete azioni i valori e i principi di rispetto dei diritti umani e della dignità”.

A livello di diritto internazionale, c’è stata “una più ampia interpretazione del concetto di rifugiato”, a causa di situazioni politiche e umanitarie, e l’Alto Commissariato – lo elogia Tomasi – ha promosso questo processo, e anzi dovrebbe riprendere “le azioni del passato” di far valere i suoi “buoni uffici”, magari anche “rafforzarle” oggi, perché “la protezione delle persone dovrebbe precedere le sproporzionate preoccupazioni riguardo la sicurezza dello Stato” e “l’ospitalità non dovrebbe essere limitata alla sola sfera privata”.

Anzi – dice Tomasi – l’ospitalità “deve diventare parte e percentuale del mondo della politica e così fare una differenza a livelli globali e nazioni”. “La condivisione del peso e la solidarietà si estendono per avere politiche di confine più sensibili e un accesso più facile alle procedure di richiesta di asilo”. In più, “accrescere in maniera sostanziale le possibilità di reinsediamento possono grandemente anticipare il raggiungimento di soluzioni durevoli”.

E queste soluzioni sono rappresentate appunto da una “comune strategia europea”, la quale richiede un “accordo strategico che distribuisca i rifugiati tra tutte le nazioni dell’Unione Europea, tenendo conto criteri come la situazione economica della nazione, la sua grandezza e popolazione, e i talenti e le preferenze della gente coinvolta”.

Ma per fare questo ci vuole un lavoro di educazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica “riguardo le nostre comune responsabilità sulle cause di conflitto e sulla ricerca per soluzioni pacifiche e di coesistenza”. Sottolinea Tomasi che “le comunità di fede, che sono presenti ovunque, propongono un messaggio condiviso di compassione e solidarietà. Sono particolarmente attente ad accompagnare le persone nei loro percorsi verso la sicurezza e possono offrire un contributo unico, tale che la migrazione forza sia vista in una più piena prospettiva di conseguenze individuali, sociali e comunitarie”.

È la richiesta della costruzione di un mondo più giusto, più equo, di cui in fondo è permeata la Dottrina Sociale della Chiesa. “Resta urgente, nel mondo di oggi, la necessità di un impegno rinnovato per implementare le buone soluzioni raggiunte”, conclude Tomasi.

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